VENEZIA. Terza volta in concorso per l’americano Todd Solondz, vincitore due anni fa dell’Osella per la migliore sceneggiatura con Life During Wartime (Perdona e dimentica).
Nel tragicomico Dark Horse sotto i riflettori è di nuovo la famiglia media americana, un graffiante e satirico ritratto delle nevrosi e dei ‘mostri’ partoriti al suo interno.
Protagonisti sono due ultratrentenni con la sindrome di Peter Pan, Abe (Jordan Gelber) e Miranda (Selma Blair) che vivono ancora in famiglia, prigionieri della loro incapacità di essere indipendenti, protetti da genitori invadenti quanto poco fiduciosi delle loro qualità.
Soprattutto lo sguardo di Solondz è puntato sul ‘brutto’ e inadeguato Abe a suo agio solo nella sua cameretta adolescenziale con tanto di collezione di giocattoli. Lavora, o meglio fa finta di lavorare nell’azienda di papà (Christopher Walken) e passa le serate giocando a backgammon con l’affettuosa e comprensiva mamma (Mia Farrow). Una chance di fuga gliela offre l’incontro con la depressa e un po’ svampita Miranda. Già alla prima uscita Abe le propone di sposarla, ma il suo subconscio, fatto di paure e pensieri incontrollati, finisce per indebolire sempre di più il suo sogno.
Un film meno aspro dei precedenti? “Per quanto sia una commedia divertente, non riesco mai a ridere – dice il regista – E’ un film pieno di dolore e malinconia, perché Abe incontra tanti problemi e sfortune e per lui provo commozione ed empatia. Alla fine c’è un cambiamento, ma solo perché vediamo le cose dal punto di vista della segretaria. I suoi sentimenti di tenerezza e amore sono quelli che danno redenzione e significato alla vita”.
Per il protagonista Jordan Gelber in questo film Solondz sceglie, a differenza del precedente Life During Wartime, non di intrecciare più storie che s’influenzano l’un l’altra, ma di seguire la vicenda di un unico personaggio. La vicenda di Abe, che non è mai cresciuto anche se da tempo è un uomo, il cui interesse fondamentale è la sua collezione di giocattoli. “Non la possiede ma ne è posseduto, nel senso che la collezione lo tiene legato all’infanzia. E ciò è sintomatico di una società consumistica, dove tutto è reso infantile, forse per distrarci dalla nostra vera natura”, sottolinea il regista.
E il titolo Dark Horse? “E’ un piano sequenza in un certo senso, si parla di qualcuno che potrebbe arrivare al trionfo ma non lo raggiunge – aggiunge Solondz – Abbiamo pensato a un possibile titolo italiano, Una scommessa, anche se si tratta di una scommessa di difficile riuscita”.
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