Fa ancora scalpore, nel Giappone dalle tradizioni di ferro nonostante l’ultramodernità tecnologica, una principessa, Sayako, che rinuncia al suo destino di figlia dell’imperatore per sposare un semplice urbanista. Fa notizia, anche se magari alimentata ad arte, il boicottaggio del film di Aleksandr Sokurov, Il Sole, un capolavoro amato a Berlino come al Torino Film Festival, ma che nella patria di Hirohito ha fatto una gran fatica a trovare una distribuzione (uscirà a primavera 2006), come ha raccontato il produttore Marco Müller: c’è stato anche un tentativo diplomatico con l’intervento di un grande musicista come Rostropovich che ha intercesso presso l’attuale imperatore chiedendo un’udienza imperiale per proiettare il film a corte. La richiesta è nelle mani del ciambellano dalla primavera scorsa.
Tuttavia il regista russo, ospite della manifestazione che lo scorso anno gli dedicò un’importante retrospettiva, ammorbidisce i toni: “Non è vero che ho ricevuto minacce e tutta questa storia è un po’ diventata una leggenda”. Gli attori nipponici, aggiunge, hanno fatto la fila per interpretare il film, nessuno si è tirato indietro. Non smentisce che il protagonista Issey Ogata, popolare a casa sua quanto Roberto Benigni in Italia, abbia ricevuto minacce per aver osato “dissacrare” la figura divina dell’imperatore che pose fine alla seconda guerra mondiale dopo un sofferto ma leale negoziato con il generale americano Douglas MacArthur. “Certo, il Giappone è un paese particolare – aggiunge il cineasta – è più vicino alla Gran Bretagna che all’Oriente, eppure è l’unico tra i paesi civilizzati a non aver ancora risolto questioni storiche fondamentali”.
Del resto Il Sole, terzo elemento di una tetralogia sul potere che sarà conclusa da una personale lettura del Faust, tra Goethe e Thomas Mann, affronta proprio il tema, arduo ma centrale nella storia dell’umanità, dell’umanizzazione del tiranno e in Hirohito trova un modello di monarca assoluto ma a suo modo illuminato, appassionato di entomologia e collezionista di foto delle star di Hollywood. La sua incredibile somiglianza con Charlot lo espose agli scherzi di militari e reporter americani. “Agli yankee – riflette Sokurov – sembrava comico, così conciato, con la marsina e il cappello a cilindro, gli occhialetti da miope: nessun sovrano aveva mai subito un simile trattamento di arroganza. Inoltre Hirohito era una persona molto colta e provava disagio e addirittura vergogna per quello che doveva sopportare”. Eppure non esitò a scendere dal suo piedistallo per prendere la parola ai microfoni della radio e annunciare la resa a un popolo messo in ginocchio dall’atomica su Hiroshima e Nagasaki. “Non ci sono questioni che non si possano affrontare – dice ancora il cineasta russo – se due persone si siedono attorno a un tavolo per parlare, specie se da quel colloquio dipendono migliaia o milioni di vita umane. Purtroppo i politici di oggi non lo capiscono, non sembrano capire che non c’è valore più alto della vita umana”. Lancia un appello attualissimo, dunque, questo film che vede in prima linea i co-produttori italiani: la Downtown di Marco Müller, Rai Cinema e l’Istituto Luce, che è anche distributore e che porterà una ventina di copie nelle sale dal 18 novembre.
A Torino, con il regista e con i produttori Marco Müller e Carlo Brancaleoni, c’era anche l’attore che nel film interpreta il generale MacArthur, Robert Dawson. Sul set di Sokurov, ha raccontato, si respirava un clima di straordinaria serenità e di comunicazione quasi subliminale, nell’intreccio di lingue e culture diverse con attori che venivano sottoposti a sedute di quattro-cinque ore di trucco ogni giorno. Ma forse è anche questa ritualità, questo spirito ipnotico il segreto di un cinema veramente unico al mondo.
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