Un pugno dopo l’altro, forte come la roccia, ma sorretto da ferite lunghe una vita: Sly l’inimitabile, ancora oggi “keep on punching”, continua a combattere. Il documentario Netflix disponibile da venerdì 3 novembre, Sly, tratteggia il ritratto unico dell’uomo, dell’artista e del padre Stallone, sognatore soddisfatto di ciò che ha conquistato con tenacia e dedizione.
La regia di Thom Zimny costruisce un racconto intimo, che predilige l’uomo al divo, il privato al pubblico. Lontano dalla patina ingiallita e nostalgica di una Hollywood ormai andata – non del tutto: Stallone mena ancora duro sui grandi schermi di tutto il mondo, anche alla sua età (77 anni) – Sly si adagia sui filmati inediti e gli aneddoti degli amici di lunga data (anche il rivale-collega Schwarzenegger), scoprendo Stallone come in una lunga seduta terapeutica che ne sfoglia cicatrici, traumi, passati rimossi.
Zimny, autore di documentari dedicati ad altri grandi artisti – tra questi Elvis e Bruce Springsteen, un filo rosso nella tenacia inamovibile di personalità più grandi della vita stessa – ha raccontato di volersi avvicinare alla vita di Sly andando “oltre la fama e la rappresentazione della filmografia che tutti conoscono, entrando nell’anima di un artista”.
È così che Sly scopre l’intensa infanzia vissuta da Stallone, soffermandosi con delicatezza sul difficile rapporto con il padre. “All’improvviso i personaggi di Rambo e Rocky hanno assunto un contesto diverso”. L’abbandono dell’affettività genitoriale in tenera età ha forgiato Stallone. “L’accudimento è arrivato dagli altri – racconta l’attore – ma l’amore del pubblico non basta”. Si commuove, e Zimny va a caccia della lacrima stringendo su occhi più volte lucidi.
La carriera è riletta alla luce del passato di Sly, che offre nuove letture dei personaggi storici dell’attore. Da ragazzo si rifugiò nel regno della fantasia, dietro gli scudi sicuri del cinema. “Passavo tempo infinito nelle sale, avevo il culto dell’eroe che salva le persone, quelli erano gli ideali, il trionfo sul male” racconta arrivando alla scrittura del film che gli cambierà la vita, Rocky: voluto e sognato a tal punto da scommetterci un’intera esistenza, all’epoca al limite della sopravvivenza. Il documentario crea un parallelismo immediato tra l’attore e il personaggio. Balboa e Stallone si guardano negli occhi e sembrano capirsi, accettarsi, a tal punto che appare evidente che non sarebbe stato possibile scoprire l’uno senza l’altro. Un alterego a cui Stallone arriva proprio in virtù di ciò che ha vissuto e in cui infonde ogni dolore e speranza.
Ora Sly è un attore amato e un padre gentile, circondato dalla moglie Jennifer Flavin e dalle tre figlie, con cui a breve apparirà in un’inaspettata versione stalloniana del famoso programma televisivo dedicato alle Kardashian: The Family Stallone, su Paramount+ entro fine anno. Nel frattempo è entrata in produzione la seconda stagione di Tulsa King, in cui Stallone veste i panni di un mafioso americano. Insomma, Sly non si ferma e la scalinata di Philadelphia l’attraversa ancora con la foga di un tempo. Stallone continua a combattere.
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