Silvio Orlando: “Con ‘Parthenope’ Paolo Sorrentino mi ha fatto un altro regalo”

Nel film, in concorso all'ultimo Festival di Cannes, l'attore interpreta un professore di antropologia: "Sono felice di rappresentare la raffinatezza culturale di Napoli"


SANTA MARGHERITA DI PULA (CA)-Silvio Orlando è dispiaciuto di non essere riuscito a partecipare alla premiere di Parthenope di Paolo Sorrentino, in concorso al Festival di Cannes. Nel film, che uscirà nelle sale italiane il 24 ottobre, l’attore interpreta un professore di antropologia, Devoto Marotta. “È stato un dolore non esserci, ma ero in scena a teatro a Torino – racconta Orlando al Filming Italy Sardegna Festival di Tiziana Rocca – Con questo ruolo Paolo mi ha fatto un altro regalo”.

Chi è il professor Marotta?

Tra le varie anime possibili di Napoli, rappresenta quella colta e erudita, una parte importante della nostra città. Abbiamo un patrimonio culturale di raffinatezza. Rappresento anche la via di fuga della protagonista con una vita turbata e vorace di esperienze, che trova la sua strada forse anche grazie al mio personaggio. Questo film è una sintesi di Napoli, un caleidoscopio di colori. Chi non ha conosciuto un professore così? Io ero iscritto proprio all’Università Federico II in sociologia e ho sentito nuovamente quegli odori, girando il film. 

Che rapporto c’è con Sorrentino, con il quale è tornato a lavorare dopo le serie The Young Pope e The New Pope?

Io e Paolo siamo uguali, a parte la genialità. Però facciamo un po’ fatica a esprimere sentimento e affettività. C’è un pudore dei sentimenti, non si capisce bene fino a che punto siamo in sintonia.

La sua presenza nei film è quasi sempre più forte del ruolo. È il segno di una grande caratura attoriale?

Io spero e penso di mettermi sempre a servizio della storia, di starci dentro. Poi all’interno della storia trovo una mia misura. Parto da me, da come sono fatto nella vita per dare colore al personaggio. Un’abitudine e un’attitudine dopo quarant’anni che faccio questo mestiere. Il mio aspetto umano è un po’ il mio effetto speciale. A parte la bravura, serve un quid in più.

Che ha sempre cercato sin dagli inizi?

Ci sentivamo importanti come essere umani e questa ricerca ha accompagnato quelli della mia generazione per sempre. Io ho cercato di uscire fuori da una ripetitività di ruolo. Ho cercato un calore umano. Paolo sa metterti in una bolla di parole e immagini meravigliose, dove io provo ammeterei qualcosa di personale.

Gli attori di oggi hanno questa umanità di cui parla?

Ai miei tempi gli attori pensavano di essere dei soggetti politici, che il nostro privato fosse importante per le sorti dell’umanità. Un po’ una follia.  Ci sentivamo preziosi e utili al mondo. Oggi i giovani hanno un atteggiamento più timido, ma ci sono attori che mi stupiscono per la bravura. Il movimento del cinema si è però frammentato, prima c’era una famiglia. 

Recitare è un atto politico ancora oggi?

Lo è, non ideologico, ma di responsabilità. Salire su un palcoscenico o mettersi davanti alla macchina cinematografica interpretando un personaggio è anche un atto di presunzione enorme. Fare l’attore è uno dei mestieri più politici che ci siae il tuo punto di vista è importante, mai neutro. 

Si può rimanere imprigionati da un’ideologia, come gabbia di pensiero e relazioni?

Io non sono mai stato un fantastico, ho fatto sempre quello che mi è passato per la testa. Ho lavorato per Nanni Moretti e Berlusconi, contemporaneamente. Facevo quello che mi faceva crescere, senza perdere di vista un baricentro e un punto di vista. Quando sentivo che stavo per perdermi, che le scelte economiche prevalevano sulle artistiche, facevo un passo indietro. Ho cercato di mantenere una dignità. Questo è un atto politico molto forte.

In Italia viene celebrata realmente la bravura degli attori, come avviene negli altri Paesi?

Io mi sento di essere un miracolato. Ci siamo creati la nostra strada. Abbiamo salvato l’anima che serve in questo mestiere, non mi sento in credito di qualcosa. E non mi iscrivo di certo al partito dei non abbastanza riconosciuti. Ho fatto una carriera che avrei voluto quando avevo 18 anni. Ormai sono in pensione. E mi sto dedicando all’idea di essere un essere umano un po’ decente. 

E cioè?

Anche io ho avuto i miei sbandamenti. Il cinema era sessuomaniaco quando ero giovane. Oggi il movimento MeToo ha creato qualcosa di importante nel nostro lavoro. I set sono luoghi vivibili e si pensa solo al lavoro che si deve fare. Allora le donne erano poche, ora di più. Il MeToo ci ha migliorato. Conosciamo tutti com’era il cinema negli anni Sessanta e Settanta. Le donne erano considerate delle prede, merce, selvaggina. Era una cosa sottile più della violenza fisica, una legge non scritta, qualcosa di impalpabile. Se la donna non stava a quel gioco lì, diventava un elemento di disturbo nella macchina maschile. Quel cameratismo è stato anche raccontato nelle storie. 

Ora a cosa sta lavorando?

Per ora sono in vacanza. Poi a settembre riprendo la tournée a teatro di Ciarlatani, testo sul diritto al fallimento con un regista e un’attrice giovane che cercano la propria strada nel mondo anche con la possibilità di fallire. I giovani vivono il fallimento come una cosa definitiva, e invece è l’unica possibilità per raggiunge ciò che serve agli esseri umani, l’umiltà, su cui si può costruire l’essere umano decente di cui parlavo prima.

C’è un personaggio che vorrebbe ancora interpretare? 

Mi piacerebbe fare una biografia su Eduardo e Peppino De Filippo. Il primo aveva l’intelligenza dello scrivere, l’altro il talento puro. Tra l’una e l’altro vince sempre l’intelligenza. Io però avrei fatto Peppino, anche se il talento può essere una gabbia.

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22 Giugno 2024

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