“Sì, chef!”, al cinema e in tv: vedere il mondo attraverso la cucina

Il 7 dicembre esce il film di Louis-Julien Petit che ha per protagonista una chef, solo l'ultimo di una lunga serie di appassionanti storie gastronomiche


C’è l’alta cucina, quella dei ristoranti stellati e dell’asticella da tenere sempre altissima, della competizione feroce tra chef, dei piatti scomposti in cui ogni briciola è valorizzata sul menu da una descrizione di tre righe, della disumanità dei ritmi della brigata, in cui ognuno gestisce una piccolissima parte del processo e per il resto deve solo obbedire a una gerarchia militaresca. E c’è una cucina fatta, “semplicemente”, per le persone. Che può voler dire mandare avanti una o più famiglie grazie a una paninoteca o un’osteria, preparare menù speciali come gesto d’amore per coloro cui sono destinati, interpretare la cura con cui si prepara un piatto – dalla scelta degli ingredienti al modo in cui la specialità viene proposta – come esperienza identitaria, come espressione del proprio modo di stare al mondo. O, addirittura, può significare creare comunità, anziché alimentare la competizione.

A volte le due cose vanno insieme, a volte no, e in questi anni il cinema e la tv ci hanno proposto spesso racconti drammatizzati del primo mondo, quello degli aspiranti “master chef” che ambiscono a fama e ricchezza perché hanno dimostrato di esser stati capaci di primeggiare sui loro concorrenti, a volte umiliandoli. Ma fornelli, piatti e padelle sono (e sono stati) in primo piano sullo schermo tantissime volte anche sotto molte altre prospettive, perché il cibo è qualcosa che riguarda tutti e perché la cucina si presta a essere metafora di un Paese e della sua struttura economica e sociale, ma anche rappresentazione coinvolgente di spinte emotive – “di pancia” – potenti e diversissime tra loro. Da un antipasto sofisticato o un hamburger succulento possono passare l’ambizione e la solidarietà, la paura e il desiderio.

In questi giorni (il 7 dicembre) arriva in sala con I Wonder Pictures Sì Chef! – La brigade, firmato da Louis-Julien Petit, il regista francese che fece molto parlare di sé nel 2019 grazie a Le invisibili, toccante sguardo su una piccola comunità di donne senza fissa dimora. La sua regia e la sua scrittura, naturalmente, lasciano il segno anche qui. Perché con questa commedia sociale agrodolce si parla della cucina come strumento per avvicinare le persone, per sostenerle, per costruire una collettività solidale. Al centro della storia c’è Cathy (Audrey Lamy), chef quarantenne che non ne può più dell’egocentrismo che regna nel ristorante in cui lavora, dove la celebrità ai fornelli di cui è la sottoposta pensa più a mettersi in scena davanti alle telecamere che ai menù da preparare. Cathy vorrebbe aprire un suo ristorante stellato, ma l’impresa è più difficile del previsto e, nell’attesa, trova impiego in un centro per minori non accompagnati. All’inizio scontrosa e riluttante, alle prese con ravioli in lattina e ragazzi che non hanno nessuna intenzione di “prendere ordini da una donna”, Cathy ripartirà dal mondo reale e troverà in quella cucina sperduta nel nulla, e in quel gruppo così variegato, tutta la spinta che le serviva per andare avanti. Sì Chef è un vero e proprio “feel good movie”, che parte dalle cucine stellate da incubo e arriva, con qualche lacrimuccia, alla mensa gestita con amore.

 

 

Sono – e restano – ambienti infernali le cucine del film Boiling Point-Il disastro è servito (distribuito anch’esso da I Wonder Pictures) e della acclamata serie tv The Bear (Disney+), di cui abbiamo parlato in questo articolo. Altro che feel good, tra i taglieri e i fornelli di Philip Barantini (regista di Boiling Point) e quelli di Carmy in The Bear si cammina sul filo sottile tra successo e fallimento, tra disastri familiari e tentativi di riscatto, tra l’amore per il buon cibo e la necessità di saperlo vendere al meglio, per sopravvivere o per arricchirsi. Qui i membri delle brigate diventano i protagonisti di un thriller ad alta tensione, in cui il tempo ti insegue senza tregua, dove bisogna pensare a tutto – e magari massacrarsi a vicenda – per non cadere sotto la mannaia dell’ispezione sanitaria.

 

Si vira addirittura sull’horror con The Menu di Mark Mylod, che continua ad attrarre pubblico in Italia (dove è uscito con Disney il 17 novembre) e negli Usa (dove resiste al quarto posto del botteghino). La storia è quella di una coppia (Anya Taylor-Joy, star de La regina degli scacchi, e Nicholas Hoult) che si reca su un’isola per mangiare in un ristorante esclusivo dove lo chef Slowik (Ralph Fiennes) ha preparato un sontuoso menù per ospiti selezionati, ma con alcune scioccanti sorprese. Oltre alla coppia, ci sono tre giovani esperti di informatica già ubriachi, una coppia benestante e più anziana composta da due clienti abituali del ristorante, un celebre  critico gastronomico e il suo servile caporedattore e una famosa star del cinema di mezz’età con la sua assistente. La  serata è dominata da una tensione crescente che aleggia su ciascun tavolo mentre vengono svelati segreti e serviti piatti  inaspettati.

 

In Italia, ad aprile, la declinazione del film culinario è passata per la commedia con La cena perfetta di Davide Minnella (Vision Distribution), in cui il camorrista Carmine/Salvatore Esposito ricicla soldi sporchi aprendo un ristorante e lì conosce la chef Consuelo/Greta Scarano, mentre si attende l’arrivo sui nostri schermi della serie biopic Julia, con la britannica Sarah Lancashire nel ruolo del titolo (che fu già interpretato da Meryl Streep in Julia & Julia nel 2009). Un modo per “tornare alle origini” e riscoprire la storia della donna che, con il suo show The French Chef, ha sostanzialmente inventato la tv del cibo.

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06 Dicembre 2022

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