TORINO – “Credo fermamente che creare una serie tv sia un processo così complesso che richiede una grande collaborazione. Hai bisogno di professionisti, in ogni aspetto della creazione. Il pubblico cambia velocemente, parla letteralmente un’altra lingua, e avremo sempre bisogno di nuove voci, nuovi punti di vista.” È Eszter Angyalosy, Head of Studies del SeriesLab 2024, a introdurci al progetto che si concluderà domani a Torino nell’ambito del 17° TorinoFilmLab Meeting Event. Dopo sei mesi di sviluppo, nove gruppi di lavoro provenienti da tutto il mondo presenteranno altrettanti progetti per delle serie tv dal carattere innovativo e dall’appeal internazionale. In palio per loro un premio di sviluppo di 20mila euro.
I progetti selezionati per questa nuova edizione del SeriesLab sono stati scelti accuratamente fin dall’inizio, con l’idea di arrivare ad oggi con le migliori proposte seriali per il mercato a livello mondiale. “Ci sono tre elementi che cercavamo. – spiega Angyalosy – Il talento, qualcuno in grado di dare un nuovo punto di vista sulla realtà; in secondo luogo, le competenze che avevano sviluppato nelle precedenti esperienze; e in terzo luogo, dato che stiamo parlando di serie tv, che è un business ancora più complesso del cinema, cercavamo commerciabilità, un fattore fondamentale. Non sarà facile introdurli nel mercato internazionale, perché ci sono troppi fattori in gioco e molti non sono sotto il nostro controllo, ma questi progetti hanno tutti il potenziale di riuscirci. Nel corso degli ultimi sei mesi, alcuni progetti sono cambiati poco, altri tantissimo, ma il lavoro che ci hanno messo dentro è lo stesso. Sono orgogliosa di tutti loro”.
Una novità di questa edizione è stata la scelta di formare tre giovani story editor, un ruolo cruciale per l’industria intera. “È il primo anno e credo che ci siano ancora margini di miglioramento. – rivela ancora Angyalosy – Sono stati fantastici, ognuno di loro ha lavorato su tre progetti in contemporanea e ha avuto l’occasione di lavorare a stretto contatto con gli autori. Si tratta di un programma di formazione piuttosto complesso: hanno dovuto imparare quanto è diverso sviluppare una narrazione seriale rispetto ad una autoconclusiva, hanno capito come funziona il processo di sviluppo, e hanno dovuto perfezionare le loro capacità personali, di comunicazione. Hanno fatto molta pratica e hanno imparato tantissimo: li abbiamo buttati nell’acqua alta senza salvagente, ma sono molto felice”.
In vista dell’evento conclusivo previsto domani, abbiamo avuto l’occasione di parlare con alcuni dei gruppi di sviluppo, formati dagli autori, registi e produttori che hanno lavorato con l’obiettivo di portare le loro storie e i loro personaggi sui piccoli schermi di tutto il mondo.
“Sono da sempre una grande fan delle sitcom, di quelle degli anni 90 e dei primi 2000. Mi sono detta quanto sarebbe stato bello scriverne una”: è nata come un esercizio, poco più che un gioco, Ensemble, la serie creata e scritta dall’autrice danese Emma-Rose Thompson e sviluppata insieme alla produttrice Hanneke Bosman. In poco tempo, però, il progetto ha mostrato il potenziale per superare la call del SeriesLab, fino al promettente sviluppo attuale. Ensemle è una sitcom ambientata ad Amsterdam, dove un gruppo di amici prova a realizzare un sogno tenuto nel cassetto per anni: trasformare uno strip-club in un teatro.
“All’inizio la serie non era ambientata da nessuna parte, era semplicemente in un teatro e i teatri sono in tutto il mondo. – rivela Thompson – Diventando un progetto sempre più unico e specifico, abbiamo capito che Amsterdam era l’ambientazione ideale. Volevamo complicare il più possibile la vita ai nostri personaggi, perché è divertente, e abbiamo fatto sì che trasformassero uno strip club del quartiere a luci rosse di Amsterdam in un teatro”.
Ispirandosi a serie cult come Friends, The Big Bang Theory e Dharma & Greg, Thompson e Bosman hanno lavorato su una sitcom “diversa da tutte le altre”, capace di concentrarsi sulle pene e sulle insicurezze dei trentenni di oggi. “Credo ci sia una certa nostalgia in persone della nostra età, che hanno quasi trent’anni e dovrebbero avere messo tutto a posto nelle loro vite: un buon lavoro, dei figli. Ma non è più così, forse non lo è mai stato. Ci sono cose che dovresti sapere a 30 anni, ma non le saprai nemmeno a 40 o a 50. Ma quando hai 30 anni pensi che sia la tua ultima occasione prima di diventare davvero vecchio. Non si tratta di realizzare i sogni ma di mantenerli vivi. Se smettiamo di sognare, qualunque cosa faremo non avrà un senso”.
“L’idea di Goodnight Girl viene dalla mia esperienza di persona transgender” così Hiram Harrington, atuore e co-creatore, insieme alla regista Janna Kemperman della dark comedy Goodnight Girl. A chiudere un terzetto squisitamente irlandese, troviamo la produttrice Maggie Ryan. La serie racconta di un gruppo di persone queer che si trovano costrette a tornare nel loro piccolo villaggio di origini sperduto nella verde Irlanda per partecipare al funerale della loro migliore amica. Una situazione tragica che presto diventerà una vera e propria battaglia tra le due famiglie della defunta: quella biologica e quella che si è costruita da sola.
“St. Brigid non è un posto reale, ma vi si ispira. – ci racconta Harrington – Credo che rappresenti un microcosmo della cultura irlandese, con la sua lunga storia di intromissioni della chiesa nello stato e la sua attitudine chiusa, ma ci sono anche nuove generazioni che sono più in contatto con il mondo, influenzate dal multiculturalismo e da nuove idee. Sono due tipi di Irlanda che convivono una accanto all’altra. Ci siamo detti: vediamole da vicino e capiamo come interagiscono. Non volevamo dire cosa fosse giusto o sbagliato, ma lasciare al pubblico la possibilità di farsi la sua idea”.
“Non lo descriverei necessariamente come uno show queer, ma uno show che racconta di persone queer. Noi come autori preferiamo prendere questa angolazione, perché penso che l’obiettivo sia che il pubblico veda alle persone queer come persone normali che esprimono la loro personalità. Quello che raccontiamo è questa idea di trovare un posto nel mondo. – continua l’autore irlandese – Ci siamo molto ispirati a film come Captain Fantastic o alla serie Six Feet Under. C’è poi Priscilla – Queen of the Desert, che è uno dei miei film preferiti di sempre, perché mostra persone gay che si divertono facendo quello che vogliono ma in un contesto che non è necessariamente queer. E poi, ovviamente, c’è Pose, che mi ha fatto pensare che avrei davvero potuto fare qualcosa del genere. Abbiamo anche chiamato uno dei personaggi come uno degli attori di Pose: ha davvero aperto la porta, permettendo che un sacco di cose queer accadessero”.
Per il gruppo, lo sviluppo all’interno del laboratorio è stato cruciale: “Penso che il SeriesLab sia stata un’ottima occasione per scavare in noi stessi, siamo molto grati al nostro tutor, è stato fenomenale, possiamo dire che è stato il padrino di questo progetto. È stato abile a porci domande, senza necessariamente dare le sue opinioni, ma semplicemente guidandoci a raccontare la storia che volevamo raccontare. È stato bellissimo anche ricevere feedback dagli altri gruppi che lavoravano con noi, tutte queste diverse prospettive che venivano da ogni parte del mondo: è stato interessante scoprire come questo progetto così irlandese potesse essere internazionalizzabile.”
Un gruppo di “scrocconi” che si introducono in feste di alto profilo per nutrire al tempo stesso il loro ego e i loro stomaci: è la Freeloaders School, attorno a cui ruota l’omonima serie spagnola creata dall’autore e regista Horacio Alcalá, insieme all’autrice e produttrice Blanca Tormo. Una dramedy con un twist crime e un evidente afflato internazionale, una via di mezzo tra Big Little Lies e The White Lotus.
“Ho lavorato con il Cirque du Soleil per sette anni e c’erano sempre dei vip party. – racconta Alcalá – Ci siamo presto resi conto che le stesse persone tornavano ancora e ancora, dicevano di essere della stampa, avevano documenti falsi, e l’unica cosa che volevano era bere e mangiare gratis. Volevano parlare con gli artisti e sognare di far parte di una classe sociale più alta. Quando ho portato i miei film in giro per festival, mi sono reso conto che c’erano tante persone che si fingevano produttori o attori, che volevano andare alle feste gratis e, ogni tanto, andare a letto con qualcuno”. A guidarci in questo mondo è la protagonista, La Chata, una quarantenne “fashion victim” che ha come modello le grandi star della tv e che farebbe di tutto per scalare i gradini della società.
Punto di forza della serie è la sua capacità di adattarsi a qualunque contesto. Più che una serie spagnola in tutto e per tutto, Freeloaders School è un concept che punta tutto sulla sua struttura e sul suo mood accattivante. “La nostra storia è ambientata in Spagna, ma in realtà è un format che può essere adattato a qualunque Paese. Può andare ovunque, in Belgio, in Italia. Nel pitch diremo che ognuno può immaginare che questa storia avvenga nel suo paese. Addirittura in una prima versione la avevamo immaginata a Miami. Alla fine della prima stagione ci spostiamo alla fashion week di Parigi, che sarà il prossimo evento a cui parteciperanno i protagonisti, la loro prossima città”.
Tutti i 19 premi assegnati in conclusione della 17ª edizione del TFL Meeting Event, per un totale di 376mila euro
A chiudere la prima edizione del laboratorio dedicato alla commedia del TorinoFilmLab sono stati i pitch dei registi, supportati efficacemente dai monologhi dei quattro comedian che hanno seguito il progetto
La prima edizione del workshop dedicato alla commedia del TorinoFilmLab è stata "una scommessa più che vinta", come ci ha rivelato l'Head of Studies del progetto
74 i partecipanti, di cui 8 italiani, per l'evento industry che si terrà da 21 al 23 novembre a Torino in staffetta al TFF, il cui programma include sei film realizzati grazie al TFL