LECCE – Sergio Rubini, figlio della terra di Puglia, natìo di Grumo Appula, tenne a battesimo il Festival del Cinema Europeo di Lecce nel 2000 e quest’anno – alla sua XXIII edizione – la manifestazione lo ospita e lo premia con l’Ulivo d’Oro alla Carriera.
Protagonista di un incontro con la stampa, Rubini dapprima commenta con ironia il riconoscimento, poi gettando un ponte dal presente verso il futuro prossimo: “Un premio alla carriera lo ritengo come le elezioni di ‘midterm’: Fellini – con cui Rubini ha lavorato (Intervista, 1987) – diceva che i premi alla carriera portino male. Un premio alla carriera è un incentivo a far meglio e mi fa piacere riceverlo in questa terra, che grazie al cinema si è profondamente trasformata, con politiche fatte con sapienza. Questa terra così ha ribaltato la propria Storia, è una terra che ha saputo comprendere che con la cultura si mangia e si produce ricchezza”.
Poi l’artista, dalla circostanza corrente passa a un racconto creativo fattivo, dicendo che “sto scrivendo una mini serie per Rai Uno, di cui sarò regista: saranno due puntate. È un’operazione a cui sono molto legato, un progetto che covo da più di 20 anni: lo sto scrivendo con Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini”, su un poeta dell’ ‘800, ma Rubini non si sbottona a dire di più. Ma aggiunge: “M’accingo anche a essere attore nel primo film da regista di Margherita Buy, che s’appresta a esordire. M’accingo con grande curiosità e una nota di dolcezza, naturalmente. Insomma, mi aspettano tutte cose che partono da sentimenti autentici”.
Rubini s’appresa a interpretare, dunque, per Margherita Buy – l’opera si dovrebbe intitolare Volare ed essere una commedia su un gruppo di ansiosi che s’incontrano per vincere l’aviofobia -, eppure l’attore e regista pugliese non è debuttate nell’accettare ruoli diretto da autrici donne alla loro prima volta dietro la macchina da presa, infatti ha appena recitato per Felicità di Micaela Ramazzotti: “lavorare con un esordiente è sempre un’opportunità. Nel mio periodo di formazione, fare il penultimo film di Fellini e poi il primo di Piccioni (Il grande Blek, 1987) mi ha dimostrato che fosse tutto uguale, ovvero ci fosse la stessa partecipazione, passione, e che l’anagrafe non facesse differenze, questo è sorprendente: è l’esempio di quando un adulto riesce a rimanere bambino e un bambino ha la tenacia dell’adulto. È sempre una scoperta. Fare il film della Ramazzotti è stato emozionante perché ha aperto uno squarcio e si mette a nudo e anche Margherita, pressappoco, fa questo. Bruno Lauzi, alla fine di un concerto, incontrò nel pubblico una signora che si alzò e gli chiese: ‘perché lei fa sempre canzoni tristi?’. ‘Perché quando sono felice vado al mare’, le risposte. E così penso Margherita abbia azzeccato il tema del suo film, perché denuncia una sua ferita e la voglia di medicarla. Quando l’arte non denuncia è solo propaganda”.
Questo il futuro ma guardando indietro, facendo un bilancio sulla carriera “fino a qui”, Rubini riflette: “non ho rimpianti ma… Daniele Luchetti mi propose di fare Domani accadrà, suo primo film, e il mio agente mi convinse non fosse il caso, perché contemporaneamente c’era un vecchio signore che non aveva mai debuttato e quindi forse appaiare un esordiente con un adulto, entrambi al debutto, pareva più funzionale. Luchetti venne sotto casa, mi citofonò e disse ‘te ne pentirai’, e me ne sono pentito. Dovevo fare non la parte di Hendel, ma dell’altro ragazzo. Comunque: la colpa non è mia, ma del mio agente, che infatti ho lasciato”.
Rubini, attore sì ma anche regista, un ruolo su cui si sofferma a commentare: “Io penso sempre a un’esperienza che posso raccontare. Mi serve la vita per il cinema. Mi piacciono per esempio i film autobiografici, ti permettono di raccontare tutto ciò che non hai vissuto e li puoi riempire di menzogne: noi siamo veri quando raccontiamo delle baggianate, perché raccontiamo ciò che avremmo voluto essere…”.
Mentre parlando di “bambini”, o meglio di parte infantile del sé, conservata per praticare il suo mestiere di artista, dice: “La parte bambina a volte vorrei non mantenerla, per avere qualche sicurezza in più e qualche paura in meno, ma se in questo mestiere uno deve imparare deve dis-imparare e riproporsi sempre vergine e pieno di stupore e meraviglia. La difficoltà di questo mestiere sta nel dis-imparare perché imparare protegge: ‘la valigia dell’attore’ è una bellissima cazzata, perché l’attore mette a disposizione la sua nudità, che significa mettere a disposizione la propria inesperienza, perché il mestiere dell’artista è quello di un esploratore, che produce anche senso di smarrimento e timore. Qualcosa della parte bambina quindi ogni tanto me la risparmierei, ma forse grazie al cielo ne sono ancora ammalato”.
Infine, rispetto al cinema italiano quale patrimonio culturale, commenta: “Il governo, il ministro (appena passati) hanno dato tantissimi incentivi per la produzione cinematografica, cosa che però ha anche prodotto una piccola deriva, che va arginata: la maggior parte delle produzioni italiane hanno venduto agli stranieri e i nostri grandi produttori sono AD delle grandi produzioni estere, credo sia un peccato. In un modo globale è normale però… all’estero non c’è una società cinematografica o un marchio di moda acquistati da un gruppo italiano, dobbiamo proteggere le aziende culturali e non svendere il nostro Paese. Il rischio è di vendere la nostra identità e Storia. Gli stranieri hanno portato tantissimo lavoro da noi per cui non va interrotto questo flusso ma bisogna dare un incentivo a chi ha la forza di non vendere, altrimenti il rischio è che spariscano i piccoli produttori che garantiscono l’artigianalità del cinema. Da uomo di Sinistra, sto facendo un discorso sovranista, ecco perché guardo favorevolmente il governo Meloni: stiamo a vedere cosa faranno questi signori, poiché dobbiamo tornare a essere noi i narratori della nostra Storia, ed è una cosa che la Destra dovrebbe comprendere, vediamo se saranno capaci di coglierlo”.
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