Quattro fratelli, due sorelle, ma con madri e padri diversi. Una famiglia, strana come tante altre, ampia, confusionaria, ovviamente irrisolta. Al centro, un uomo che riunisce tutti, la figura paterna di Manfredi Alicante, perno della vicenda e al contempo grande assente; è proprio la sua morte infatti a riunire i sei che da anni non si frequentano più, se non per ricordare l’odio e l’amaro che riservano l’uno per l’altro. La morte di Manfredi però cambia tutto. O almeno, è l’opportunità affinché questo accada. Incastrati a Bordeaux in Francia per affrontare debiti e ultimi voleri del padre, il gruppo trascorre una settimana insieme, mettendo in scena uno spaccato di ambizioni e aspettative reciproche, in cui ognuno ripropone la figura cucita per lui dagli altri, finché anche quest’apparenza non crolla permettendo ai sei di iniziare a venirsi incontro davvero. Un film, Sei fratelli – in sala dall’1 maggio con O1 Distribution – “felicemente corale” come lo descrive uno dei suoi protagonisti Adriano Giannini, che conta tra le sue fila Riccardo Scamarcio, Gabriel Montesi, Valentina Bellè, Claire Romain, Mati Galey, Linda Caridi e Gioele Dix, quest’ultimo nella parte della voce fuori campo del padre Manfredi Alicante con cui si apre e chiude il film.
“La storia di un padre che incarna un amore mancato”, spiega il regista Simone Godano, “una figura carismatica che ha lasciato indietro tanto dolore, che è stato mitizzato dai figli nonostante lo vedano come il cattivo, perché tutti in realtà, come al cinema, vogliono essere il cattivo”. Ogni fratello è un mondo a parte, in aperto conflitto con chi ha condiviso storie d’infanzia simili, fatte di assenze del padre e ferite ancora aperte. La somiglianza dei percorsi non è però abbastanza per riunire i cocci di questo gruppo, e ogni attore infatti veste il personaggio sottolineando vicinanze e distanze dai fratelli. “Il film è anche una riflessione prossemica” nota Gabriel Montesi sottolineando come la dinamica dei corpi parli dei rapporti che segnano questa storia, fatta anche di ambizioni universali. Tra commedia e dramma, in una via di mezzo a cui aiutano interpreti più vicini al secondo e dunque sorprendenti nel cambio continuo di tono, il film racconta il presente di famiglie sempre più aperte, complicate, rotte o restaurate, e l’universalità delle dinamiche che le attraversano.
“Tutti nelle famiglie abbiamo un ruolo” spiega Godano. “In questo film i fratelli riescono a dirsi delle cose che i ruoli in cui erano incastrati non avevano permesso di dire fino a quel momento”. Il “posto” che ognuno riveste in una famiglia è tra i temi fondamentali di Sei fratelli, avventura che invita a liberare i rapporti di sangue dalla rigidità in cui spesso sono lasciati a marcire. Sei fratelli però, per volere di Godano e dello sceneggiatore Luca Infascelli, è anche molto realista (“un realismo francese” segnala il regista), e per quanto sia rivoluzionario l’incontro tra i sei individui, la storia si premura di ricordarci che la vita ha un suo corso, e a volte serve accettarlo. Lo si nota in molti momenti dall’aspetto genuino, privati di una retorica dell’immagine tipica di questi racconti. Le scene più vere si ambientano in luoghi qualunque, senza la volontà di incorniciare il film in istantanee patinate. Godano resta reale, fedele all’emotività dei propri personaggi, sicuro dell’efficacia dell’ensemble degli attori messo in scena.
“Un film in bilico tra scritto e non scritto” sottolinea infatti il regista, puntando il dito sull’importanza del rapporto nato tra il gruppo in più di quattro settimane di riprese. “Vi lascio immaginare cosa significhi avere otto attori in scena tutti i giorni, ognuno con il proprio approccio. Avevo bisogno di attori che condividessero l’idea di fare poche prove e lasciarsi sorprendere da quello che succede nel set. Questi fratelli non si conoscono, se avessimo preparato tutto sarebbe venuto fuori un film freddo e a me servivano emozioni, che vengono da qualcosa che è nato anche sul set”.
A segnare il film è anche un attento accompagnamento musicale, che unisce più lingue e culture in un mix efficace, ancora una volta specchio delle distanze e dell’apparente incomunicabilità tra il gruppo. Nel film prodotto da Grøenlandia con Rai Cinema, tre i pezzi francesi, uno in tedesco, un Gospel americano e infine, a chiudere, un pezzo italiano di Motta.
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