In Inghilterra è stato proiettato nelle scuole, e nei vari paesi europei e americani dove è circolato non è stato minimamente censurato: solo in Italia è stato vietato ai minori di 14 anni. Abbiamo chiesto direttamente al regista, classe ’83, quali sono, secondo lui, i motivi di questa scelta.
“Parlare di omosessualità in Italia resta un problema – dice – il tema crea disagi, fa paura, è paradossale che un film senza scene di nudo o di violenza possa essere censurato”.
Anche il nuovo film che sta preparando, Una famiglia, tratterà l’omosessualità?
No, non è un film gay, riguarda tutti: Più buio di mezzanotte parlava di integrazione e affermazione della propria identità attraverso il racconto di una “minoranza”, questo invece riguarderà il diritto di avere una famiglia. E’ un film corale, non voglio definirlo dramma, ma affronta in maniera poetica un tema sociale serio che riguarda tutti. Ha quattro protagonisti più altri personaggi, c’è una voce onnisciente che crea differenziazione e ribaltamenti di punti di vista all’interno del film. E la voce appartiene a uno dei personaggi, un uomo di mezza età che vive un rapporto morboso con la madre.
Dove è ambientato?
A Roma, ma parla dell’Italia tanto quanto del resto d’Europa: di tutti quei paesi, come il nostro, che in termini di diritti familiari e sociali sono ancora immaturi.
L’idea come è nata?
Leggendo un articolo, che con Grasso e Cedrola (con lui sceneggiatori del film, ndr) abbiamo commentato per ore, rendendoci conto di come in quel pezzettino di carta ci fosse una storia gigantesca che parlava di qualcosa di illegale. Quel tipo di illegalità che esiste perché un’organizzazione criminale interviene là dove lo Stato è latente.
Conferma che sarà una produzione italo-francese?
Sì, la situazione produttiva si sta definendo, ci sono già due attori importanti del cinema francese che stanno valutando il progetto, avendo già apprezzato il mio film precedente. Sui nomi degli attori preferisco essere cauto, siamo in trattative. Tra gli italiani, uno dei nomi che mi piacerebbe confermare è Micaela Ramazzotti: un’attrice di talento e spessore enormi, riesce a instaurare subito un livello di empatia con lo spettatore di ogni età. Mi piacerebbe affidarle il ruolo più umano del film: il corpo sul quale raccontiamo un’ingiustizia sociale.
Cannes, un anno dopo: come la ricorda e come ha vissuto quest’edizione?
Ricordo con piacere quell’esperienza, per un regista quel Festival è l’ospedale migliore dove dare alla luce il proprio figlio. Quello che è successo in un anno, i viaggi continui del film dal Sudafrica al Sudamerica, dal Messico all’Australia, lo devo a quella settimana lì. La 68ma edizione ha invitato tre autori italiani di spessore, a cui spetta quasi di diritto essere a Cannes con qualsiasi film. Tre pellicole che, in maniera diversa, o non osano, oppure osano troppo. Avrei premiato Youth di Sorrentino, di una cura formale e un modo di trattare con leggerezza sostanza narrativa “pesante” rari.
Qual è lo stato di salute del cinema italiano “giovane” in Italia?
Intanto va detto che c’è, che è forte e sempre più apprezzato soprattutto all’estero. Giovani talenti italiani producono un fermento impressionante: a Cannes un anno fa eravamo io al primo film e Alice Rohrwacher al secondo, a Berlino quest’anno l’esordiente Lamberto Sanfelice con il suo bel Cloro, oggi è pieno di giovani che fanno del buon cinema, personale, e corrono rischi che permettono loro di essere apprezzati.
Ci farebbe qualche nome?
Leonardo Guerra Seragnoli e il suo Last Summer, dall’estetetica impressionante. Bonifacio Angius con il suo Perfidia, Il Sud è Niente di Fabio Mollo. Ma anche i fratelli De Serio fanno un cinema meraviglioso, e di Michelangelo Frammartino attendiamo tutti il prossimo film. Non sono nomi che troviamo candidati ai David, eppure dimostrano che il cinema d’autore giovane gode davvero di ottima salute.
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