Sebastián Lelio e il film ‘trans-genere’

Vincitore dell’Orso d’argento per la Migliore Sceneggiatura al Festival di Berlino 2017, 'Una donna fantastica' esce in sala il 9 ottobre


Vincitore dell’Orso d’argento per la Migliore Sceneggiatura al Festival di Berlino 2017, Una donna fantastica, nuovo film di Sebastián Lelio, già regista di Gloria, è la storia di Marina, una donna giovane e attraente, legata sentimentalmente ad un uomo di vent’anni più grande. La sua fragile felicità si interrompe la sera in cui Orlando, il suo grande amore, muore all’improvviso. Marina è una transgender, interpretata dall’intensa Daniela Vega (transgender anche lei). Ed è in quel momento che la sua natura la metterà di fronte ai pregiudizi della società in cui vive. Marina è però una donna forte e coraggiosa e si batterà contro tutto e tutti per difendere la propria identità e i propri sentimenti.

Il film esce in sala con Lucky Red il 9 ottobre, in 80 copie.

“Tutto è partito – racconta il regista – riflettendo su cosa succede quando la persona che ami ti muore tra le braccia e le tue braccia sono il posto peggiore dove morire, perché sei un personaggio rifiutato dalla società. L’idea di usare un personaggio trans si è sviluppata dopo, scrivendo. A quel punto mi sono fermato. Vivevo già da anni a Berlino e ho deciso di tornare a Santiago per capire come stesse la situazione in quel momento. Ho incontrato diversi trans, perché io stesso volevo liberarmi da certi cliché ed essere sicuro di non peccare di ignoranza. In quel momento cercavo più dei consulenti che un’attrice, non ero nemmeno sicuro che avrei fatto il film. Tutti però mi dicevano che dovevo assolutamente conoscere Daniela, e me l’hanno presentata. E’ diventata mia amica, una pietra miliare nella mia vita e nella realizzazione del film. Ci sentivamo su Skype e mi ha dato tutte le informazioni che cercavo. Le ho voluto subito bene. Ho capito che non avrei mai fatto il film senza una vera trans, e che quella persona doveva essere lei, sebbene non avesse studiato recitazione e le sue esperienze si limitassero a un film di diploma e a qualche apparizione teatrale. Oggi in Cile è molto conosciuta, va in radio e in tv ed è testimonial di una famosa catena di centri commerciali. Probabilmente significa che la nazione era già parzialmente pronta ad accettarla”.

Oltre ad essere una trans, però, Marina è anche una donna che ha amato intensamente un uomo con dei trascorsi familiari importanti. L’aspetto discriminatorio è rafforzato da tutta una serie di situazioni in cui si potrebbe trovare una qualsiasi amante vessata dai parenti del marito: “Il fatto che si tratti di una trans – dice ancora il regista – non esaurisce la complessità del film, che resta per me un trattato sui limiti dell’empatia. E’ lo specchio di una situazione fragile. Cosa siamo disposti a cedere agli altri? Veramente alcune relazioni sono meno legittime di altre? E, se sì, a chi spetta deciderlo? Il film in qualche modo si trascende. E’ un film trans-genere con una protagonista trans-gender. Ci si chiede ‘dove sta l’identità? Nei genitali, o in altro? Ci si chiede ‘cos’è una donna?’ ma anche ‘cos’è un film?’. E il film in effetti trascende il genere: è un film sentimentale, ma anche thriller, con elementi di ghost story e una forte componente musicale. Dov’è il film, in tutto questo? Volevo che il film avesse un’identità ma non che fosse facilmente etichettabile. C’è la tematica, che abbiamo vissuto in Cile per via della crisi politica, del diniego disumano di poter salutare i propri cari a un funerale. Ma prima ancora mi sono chiesto cosa fosse così spaventoso di Marina agli occhi degli altri. Credo che la normalità sia un concetto soprattutto politico, nel tentativo di ‘normalizzare’ quello che non è normalizzabile. Io credo nella diversità. Siamo tutti diverse manifestazioni di cosa vuol dire essere vivi”.

A questo link il pezzo dalla Berlinale. 

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20 Settembre 2017

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