Sean Penn, Medici senza frontiere e amori impossibili

Un divo americano molto impegnato, una coppia scoppiata e un film che non sai bene perché sia in concorso sono gli ingredienti di The Last Face, la quinta regia del divo americano


CANNES – Un divo americano molto impegnato, una coppia scoppiata e un film che non sai bene perché sia in concorso sono gli ingredienti di The Last Face, la quinta regia di Sean Penn. Tanti flash dei fotografi per l’attore-regista apparso torvo in volto in conferenza stampa, non sappiamo se a causa dei fischi che hanno accolto il film alla proiezione per la stampa oppure per la vicinanza forzata con Charlize Theron, che l’anno scorso era qui a Cannes mano nella mano con lui e quest’anno non ha voluto neppure una foto insieme. La quarantenne attrice ed ex modella è protagonista insieme a Javier Bardem di questa storia d’amore e guerra. Charlize, gelida e professionale nelle risposte, è Wren Petersen, sudafricana come nella realtà e figlia del fondatore di un’associazione umanitaria che ricorda molto da vicino Medici senza frontiere. Ora che l’amato padre è morto, Wren dirige la onlus con piglio manageriale dedicandosi a raccogliere fondi e fare riunioni in quel di Ginevra. Ma quando si trova dentro alla macelleria africana, durante un viaggio in Liberia, decide che è giusto mettere a frutto gli studi in medicina e cercare di salvare qualche vita negli ospedali da campo. Proprio allora avviene l’incontro con il dottor Miguel Leon (Bardem), uno spagnolo con la faccia da schiaffi che ha dedicato tutte le sue energie all’attività umanitaria. Nasce una grande passione, ma è un amore impossibile: i due sono divisi dalla concezione del mondo, in più la fama di donnaiolo del dottore – che si concretizza con l’irruzione di una sua amante abbandonata (la Adéle Exarchopoulos di La vita di Adele) – sconsiglia qualsiasi serio legame.

Ma il plot sentimentale è naturalmente uno stratagemma per portarci dentro la realtà brutale delle guerre tribali, con sventramenti, budella usate come recinzioni, stupri, amputazioni e bambini addestrati a diventare macchine da guerra. Insomma una cura per la cattiva coscienza degli occidentali che non sanno fermare queste carneficine o magari le alimentano per lucrarci su. Tra citazioni di Terrence Malick e la fastidiosa sensazione che i due attori, nonostante tutto quello che gli capita rimangono sempre ben pettinati e radiosi, The Last Face è un prodotto perfetto per i galà benefici, in stile AmFAR e ha purtroppo poco a che fare con i migliori lavori del Penn regista, come The Pledge o Into the Wild

Per il produttore Matt Palmieri solo lui poteva rendere giustizia a una storia come questa per il suo impegno umanitario e perché conosce tutte le zone di guerra del globo, mentre Penn ammette di avere a cuore soprattutto la nozione di responsabilità. “È veramente una storia d’amore questa? O non piuttosto un modo di riflettere su queste guerre che mentre noi cerchiamo soluzioni politiche, continuano a versare sangue. Credo che la generosità sia l’unica soluzione”.

Per Charlize il film, girato in Liberia, Sudafrica e Sudan nel 2014 quando ancora faceva coppia con Penn, è stato quasi un documentario: “C’erano diverse mdp sul set e non ci rendevamo neanche conto di essere filmati. Tra l’altro abbiamo avuto un chirurgo come coach, ci ha aiutato moltissimo, spiegandoci come rendere credibile la parte medica, però nel momento del bisogno, quando dovevamo fare un cesareo nella giungla, era sparito”.

Sia la Theron che Bardem esprimono una grande ammirazione per i medici umanitari. “L’altro giorno in Siria un pediatra è morto sotto le bombe – ha detto l’attore spagnolo – questi sono veri eroi, di cui non si parla mai”  “Ammiro queste persone che lavorano in situazioni così brutali e trascorrono tanto tempo in luoghi dove c’è un dolore enorme e conflitti così sanguinosi. Ma se qualcuno dicesse al mio personaggio che è un’eroina, credo che Wren scoppierebbe a ridere”, ha aggiunto Charlize. Spiegando che anche lavorare con non attori ha aiutato a creare l’atmosfera del film: “Sean voleva che tutto fosse autentico e reale. Sul set c’erano 5.000 persone che vivevano nel campo profughi, facevano da mangiare e tutto il resto come avrebbero fatto anche senza il film”. 

Sulle critiche e i fischi, Penn è lapidario: “Ho fatto il mio film e non ho niente da aggiungere”. Poi si lascia andare a una riflessione sull’uso dell’entertainment per comunicare un messaggio così importante. “Va bene divertire le persone, se non è sinonimo del comportamento di Donald Trump. Ma molti film americani sono purtroppo puro divertissement, come se avessimo dimenticato la tragedia greca”. E come mai ha scelto proprio Charlize Theron per il ruolo? “Insieme a Javier formavano una coppia perfetta, ma questo si capisce solo vedendo il film”.

Rispetto al concorso, racconta che la sua esperienza di giurato a Cannes è uno dei suoi migliori ricordi. “Non so se sia veramente importante la competizione, ma so che è un modo per mettersi in mostra e suscitare forti reazioni. Come americano essere a Cannes mi dà la possibilità di conoscere cose diverse, perché noi siamo molto chiusi nella nostra cultura. Solo qui capisci davvero cosa succede nel resto del mondo”. 

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20 Maggio 2016

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