Sciarra, la notte delle decisioni irrevocabili


Salud y peliculas!!!! Questo il grido di battaglia della giuria internazionale della 30a edizione del Festival di Valencia. A lanciarlo per primo Enrique Gabriel, regista spagnolo e presidente della giuria. Però il problema è stato che il grido di battaglia si è trasformato presto in brindisi, e gli spagnoli si sa amano brindare, anzi si ha l’impressione che pur di poter alzare un calice (o un boccale, un bicchiere, un qualsiasi contenitore) cerchino qualsiasi scusa. E noi poveri giurati dobbiamo seguire il presidente, sempre e comunque!

Viaggio in low cost
Ma andiamo con ordine. Questa volta vado ad un festival internazionale in condizione di giudicante invece che di giudicato. Che dovrebbe essere meglio. E di fatto lo è, ma la responsabilità si fa sentire. E come capita sempre, l’ansia si sposta sul bagaglio. Sicurezza è avere una camicia in più, e aiuta a non pensare al vero oggetto dell’ansia: che film sceglierò? E se agli altri non piacciono? Per fortuna c’è un limite, che somiglia molto a quando ti dicono devi fare un film con questi soldi e in queste settimane. Si viaggia con una compagnia low cost (ho saputo di registi che stavano per non venire, per questa ragione…) e il limite del bagaglio è 20 chili. Problema risolto!

In giuria con Groucho Marx
Il primo impatto con la giuria è subito positivo. Sembra una barzelletta di quelle di una volta. Ci sta un italiano, un greco, un siriano e due spagnoli… Basta una prima annusata e ci capiamo subito. Quasi stessa generazione, a parte Farah, l’attrice che come al solito è giovane, e un’idea di cinema simile. Grandi divoratori di film tutti, ma superati di gran lunga dal presidente (che è presidente non a caso) e da Michel Demopoulos, che da bravo ex direttore di festival e gran frequentatore di giurie, ha visto di tutto e si ricorda di tutti.
Non c’è film minore o regista semisconosciuto che passi sotto silenzio. Tanto che io e Ousama, regista siriano che a dispetto del nome evocativo di ben altro si scopre subito gran giocherellone, ci inventiamo una sera un titolo improbabile di un film birmano muto e in bianco e nero che ha partecipato ad un improbabile festival degli inizi del secolo scorso… Ma loro non ci cascano e parlano di un vero film, con le stesse caratteristiche. Non c’è gioco, così!!!
Non parlerò dei film che abbiamo visto per non rompere il patto omertoso che dalla notte delle decisioni ci unisce indissolubilmente. Non dirò a me piaceva questo a lui quell’altro e ho vinto ho perso. Però vi dirò del clima in cui le decisioni maturano, in una giuria come la nostra. Che è stato subito detto, citando Groucho Marx, non ci ispirava tanta fiducia se c’eravamo noi…

Il Bruce Lee egiziano che corre a perdifiato
Ma di un film non posso non parlare, perché, unico all’unanimità, l’abbiamo eletto “il più” di tutti. Parliamo di Ibrahim Labyad, Egitto 2009 come recita il catalogo. Che ci dice anche il regista, Marwan Hamed, ma soprattutto ben 134 minuti. Di cosa? Azzardo la famosa one line che dovrebbe far innamorare i produttori dell’idea: lotta fra bande rivali in Egitto.
Ma non riesco a rendere in pieno. E allora i riferimenti culturali. Avete presente una ‘mescla’ come dicono in Spagna tra i polizieschi italiani anni ’70, i film di mafia russa, Bruce Lee e i suoi epigoni coreani, i film sulla camorra e Il Padrino? Beh, siete ancora lontani, perché poi il protagonista, che in genere si muoveva con macchine più o meno potenti, e si andava a schiantare contro i muri distruggendo il mezzo di trasporto, qui invece corre. Corre dall’inizio alla fine, e infatti alla fine zoppica, arranca, ma continua a correre. Prima pulito (i primi 3 minuti), poi sempre più imbrattato di sangue, più appiccicoso e pensiamo puzzolente. Perché poi subentra alcool e droga, ovviamente.

Insomma, se il presidente del Festival ce lo avesse permesso, avrebbe vinto il Golden Knife!!! Ma il fatto stesso che non siamo riusciti a conferirgli il premio ci mette tutti in una difficile condizione. E se Ibrahim sa di noi? E se dopo aver letto questo articolo ci cerca uno per uno sotto casa? Scartiamo l’ipotesi perché ci sembra difficile che legga. Con Ousama prendiamo la decisione. Questo che abbiamo visto sarà soltanto il primo della serie. E poi verranno Ibrahim sbarca in Spagna, Ibrahim alla conquista di Parigi, Ibrahim a Cinecittà . Attenti tutti!

Vietato copiare dal quadernino nero
In una giuria si fanno dei patti iniziali. Uno è che non è concesso dormire, anche se sei al quarto film in uno stesso giorno e hai dovuto sostenere il pranzetto succulento offerto da Maria, l’ottima “tutor” che ci è stata assegnata. E il patto viene rispettato. Più o meno, ma non riveleremo neanche sotto tortura chi e quando e per che film lo ha violato, il patto di sangue.
Ci compriamo subito un quadernino nero uguale per tutti, e diligentemente scriviamo dopo ogni film quello che ci piace e non ci piace. Vietato copiare!!!

El cochecito (la carrozzella) di Jesus Franco
Ma c’è anche un piacevole diversivo, nei giorni in cui i film sono “soltanto” due. C’è una completa retrospettiva di Berlanga, ed è un piacere rivedere film come Life Size, o come El verdugo, o scoprire un vero capolavoro come Placido o Los jueves, milagros. Capacità di tenere insieme in scena tra i cinque e i trenta attori che si parlano uno sopra l’altro, e danno un senso di verità e un ritmo incredibili. Ricordo una volta un regista italiano che confessò di avere paura di avere in scena più di due persone!
Alla serata di gala per Berlanga partecipano i suoi familiari ma anche tantissimi dei suoi attori, in un omaggio che non ha niente di retorico. E’ come vedere le figurine dei calciatori che si animano davanti a te, riconoscere le facce invecchiate dei protagonisti dei film degli anni ’50, scoprirli come vecchi commilitoni affezionati e divertiti.
C’è anche un altro grande protagonista, per nulla domo anche se trasportato in un cochecito (avrebbe detto Marco Ferreri) dalla moglie ancora bella. E’ il regista Jesus Franco, che ha frequentato tutti i generi canonici del cinema, realizzando più di 150 film mi dicono. E scoprendo che la protagonista dei suoi film più “vietati” poteva poi diventare la compagna della sua vecchiaia. La Spagna è ancora quella che abbiamo imparato a conoscere da Bunuel in poi, anzi ci viene il dubbio che in fondo il Grande Maestro fosse un poco più banale di quello che lo circondava.

L’alba con suonatori e danzatori di flamenco
E così non possiamo non ritrovarci in situazioni sempre più Berlanghiane, come lo spogliarello al contrario di un’avvenente attrice fiera dei suoi attribuiti esibiti in trasparenza dietro il fondale dell’omaggio al regista, o come la sfilata di acconciature e vestiti da gran gala delle serate, o come i segni della chirurgia plastica che fortunatamente il grande maestro non ha avuto la fortuna di poter fotografare nelle sue attrici, ma che sono altrettanto Berlanghiane.
Ma soprattutto come il luogo che abbiamo eletto a paradigma della nostra mostra. Parliamo del “Toro y la luna”, il locale che ci ha conquistato. Berlanga, ma anche Fellini, Bunuel e Bigas Luna. Il mio caro vecchio amico Paco Rabal l’avrebbe sicuramente frequentato aspettando l’alba con questa incredibile famiglia di suonatori e danzatori di flamenco.
Perché fuori dall’orario di lavoro il giurato è libero, anzi deve, come dire, sciacquarsi la testa per poter meglio valutare le decisioni da prendere. E allora: papà settantenne che indossa sombrero e/o parruccona a ricci neri per cantare canzoni messicane, due figli uno grasso l’altro no che suonano chitarre molto andaluse, due figlie che cantano e ballano con la voce roca e il vestito con le balze, il fratello più piccolo che suona una specie di cubo/percussioni, ma soprattutto la madre. Anche lei sui settanta, vestito nero scollato e rosa finta nei capelli. Pulisce tutti i tavoli con una forza sovrumana, ti squadra poco benevola, ma pare che a volte balli. Oscurando immediatamente le due figlie.
Ci portiamo anche il vincitore della miglior colonna sonora, David Hadjads, che ha musicato il duro film vincitore del Festival, Harragas. E anche lui viene preso dallo spirito di Berlanga. Suona il cubo/percussioni, risponde per le rime al ritmo incalzante delle cantanti ballerine, che a dire il vero tentano di far ballare anche il vostro corrispondente. Che però non si concede neanche questa volta. O almeno, non se ne hanno le prove. A meno che Ibrahim, nascosto in sala…

Al ristorante si sceglie il vincitore
La notte delle decisioni irrevocabili la trascorriamo in uno dei migliori ristoranti che abbiamo frequentato. Ma questa volta il cibo non va giù. Si comincia come sempre dai film che si scartano. Non saprete qual è il primo, o forse lo immaginate, ma non ditelo, per problemi di sicurezza personale. Ci si avvicina a quei film che ci hanno colpito di più, ci si domanda se anche un film che non ci è piaciuto possa avere dei pregi tecnici da riconoscergli.
Maria, che si è trasformata in segretaria della giuria, assiste alle discussioni serie e molto tecniche, ai confronti diplomatici ma ferrei, al gioco delle contrattazioni finali che ciascuno mette velatamente in gioco per poter portare a casa il premio a cui tiene di più. E per fortuna quell’aria un po’ da “cazzaroni” che ci eravamo costruiti in una settimana ci abbandona. Almeno per un po’.

Premiazione ultrarapida
I premiati vengono avvisati, per alcuni non c’è niente da fare, sono in altri festival, o impegnati su un altro set, per alcuni si deve fare opera di convincimento, ma finalmente arriva il momento di vederli tutti insieme sul palco del teatro Olimpya, dove la stessa maschera che lavora lì da oltre trent’anni ci apre per l’ultima volta la porta che ci ha aperto giorno e sera per farci vedere tutti i film. Siamo diventati un po’ di famiglia anche per lui, come per la famiglia del “Toro y la luna”, come per i fotografi del photo call che hanno imparato a chiedermi di fotografarli.
C’è un merito che non possiamo non riconoscere al Festival, tra i tantissimi che gli abbiamo trovato. La premiazione dura soltanto 25 minuti, non si ha neanche il tempo di annoiarsi. E forse ha ragione Tornatore quando ci rivela il segreto di tanta velocità: a Valencia consegnano il premio senza la sua ingombrante, scomoda, inutile, ingovernabile scatola.

27 Ottobre 2009

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