TORINO – Ci sono persone la cui esistenza è stata sovvertita, scritta, influenzata da un incontro: Pier Paolo Pasolini è stato un uomo, un intellettuale, capace di imprimere una “visione nuova” a persone divenute personalità: Ennio Morricone, Laura Betti, Dante Ferretti. O Bernardo Bertolucci, che scriveva poesie quando Pasolini lo coinvolse come aiuto regista di Accattone. Stessa sorte per Vincenzo Cerami, suo allievo alla scuola media, poi introdotto al cinema con Uccellacci e Uccellini; o Sergio Citti, imbianchino dentro la cui anima Pasolini intuisce viva il narratore ideale delle borgate.
Nella sezione Ritratti e paesaggi del TFF – Fuori Concorso – il film di Giancarlo Scarchilli, Pier Paolo Pasolini – Una Visione Nuova: il doc è statoprodotto da MG Production, in associazione con Luce Cinecittà, in collaborazione con Rai Cinema: sarà distribuito da Medusa.
Scarchilli, la storia del film è quella di un uomo capace di cambiare le vite di alcune persone: Pasolini scopritore di talenti, maestro di vita o cos’altro? Qual era il suo ‘tocco’ magnetico?
È un rabdomante del talento, intuiva il talento dove gli altri non lo vedevano. E per lui la chiave per il talento era principalmente la verità, l’autenticità. Cioè, quello che per esempio differenzia Citti è che un regista che parte dal proletariato o sottoproletariato tende ad andare nei valori borghesi: Sergio no, è rimasto individualista e anarchico tutta la vita, coerente fino in fondo, e Pasolini apprezzava questo.
Le persone e personalità che parlano nel film coprono una gamma umana e artistica ampia, da Carlo Verdone a Giancarlo De Cataldo, da Caterina D’Amico a Andrea Purgatori.
Per un motivo molto semplice, perché io tocco il giornalismo, la letteratura e il cinema, quindi automaticamente ho cercato persone che potessero raccontarmi questo: Andrea Purgatori, per esempio, entra al ‘Corriere della Sera’ dopo poco che era morto Pasolini, quindi sentiva ancora l’influsso di Pasolini all’interno del giornale, un giornale borghese che permetteva però a Pasolini di fare interventi liberi e fuori dagli schemi.
Ha rintracciato un filo rosso nel rapporto tra questi testimoni e Pasolini; in particolare dalla testimonianza di qualcuno ha ‘scoperto’ qualcosa di inedito o fortemente unico?
Ho scoperto molte cose, che già un po’ sapevo attraverso i racconti di Sergio e Franco (Citti), e ho trovato conferma nelle chiacchierate con David Grieco o Pupi Avati; sono stato un anno e mezzo sul progetto, per poter vedere proprio tutto quello che di repertorio e archivio esisteva: la sua è una figura variegata, non semplice da imbrigliare in un colore soltanto, così Francesco Rosi ti parlava del Pasolini regista o Attilio Bertolucci ti parlava del poeta. Per quello oggi una figura paragonabile a Pasolini non c’è.
(tra gli altri intervistati, in ordine di apparizione: Walter Veltroni, Filippo Ceccarelli, Matteo Anastasi, Daniele Luchetti, Giuseppe Manfridi, Blasco Giurato, Ugo De Rossi, Felice Laudadio, Luigi Piccolo, Giuseppe Gentile, Alessio Boni)
Esattamente, qual era la sua ‘visione nuova’, che dà titolo al film, propria di Pasolini e di nessun altro?
Accattone in questo senso è un capolavoro. Lo dice anche Pupi Avati: lo metterebbe tra i cinque grandi capolavori del cinema italiano. Scorsese stesso racconta – su carta stampata – che quando da giovane studente di cinema a New York aveva visto Accattone rimase sconvolto, perché era come se PPP gli avesse raccontato il Bronx. E non sapeva nulla di lui, ma cominciò a informarsi su questa persona che gli aveva raccontato il suo quartiere pur stando a Roma. La cosa nuova che ha fatto Pasolini è stata mettere elementi – nel cinema, nella letteratura, nel giornalismo – che prima non c’erano: nessuno ha osato fare Scritti corsari. Infatti, avevo pensato di chiudere il film così ma poi ho capito m’avrebbe portato fuori: bisogna essere spietati al montaggio, capire che se anche qualcosa è bello, ma ti porta lontano, devi rinunciare.
L’uso del materiale d’archivio che strumento necessario è stato e che valore aggiunto porta al racconto?
È un valore enorme perché io ho sempre fatto cinema finché non ho fatto il doc Vittorio racconta Gassmann, e lì mi sono reso conto quanto fosse bello ascoltare Vittorio, lì ho fatto un salto mortale e ho fatto raccontare a Gassmann – morto da 10 anni – la sua storia. Per Pasolini, proprio vedendo il materiale d’archivio, ho capito come costruire tutta la cosa: non come punto di partenza, perché quello è l’intuizione, cioè a quante persone lui ha cambiato la vita, ma cominciando a frequentare materiali di repertorio capisci come organizzarli per rendere una drammaturgia efficace. Ho dovuto anche rinunciare a pezzi bellissimi d’archivio, succede quando appunto ti accorgi che in qualche maniera ti allontanano da quella che è la via che hai scelto di percorre. Il vantaggio che ho rispetto a questo è che io nasco dalla Poesia, che è anche capacità di sintesi, ti fa trovare il cuore e non t’allontani.
L’approfondimento video: guarda qui.
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