Saul Dibb: in ‘Suite francese’ le vere sfumature di grigio

Il regista racconta quali sono i rapporti tra la pellicola e il romanzo mai terminato di Irène Némirovsky


Dopo una serie di anteprime per la festa della donna, arriva in sala il 12 marzo Suite francese, il film interpretato da Michelle Williams, Kristin Scott Thomas e Matthias Schoenaerts (Un sapore di ruggine e ossa) tratto da quel libro che l’autrice non riuscì mai a concludere a causa della tragica deportazione in campo di concentramento. Le sue due figlie si salvarono, e in particolare Denise conservò per molti anni in una valigia alcuni documenti della madre, tra cui appunto i primi due tomi di un’opera che avrebbe dovuto costituirsi come un “poema sinfonico” in cinque volumi. Tempo dopo Denise partecipò alla presentazione di un romanzo di una scrittrice francese. Le si avvicinò con in mano una copia del libro per chiederle un autografo. La scrittrice come si usa per fare una dedica, le chiese : “Come ti chiami?” ” Denise Epstein”, “Curioso hai il nome della più grande scrittrice francese del secolo.” Era mia madre – disse subito Denise – posseggo anche un manoscritto inedito”. Fu chiamato allora l’editore che decise di pubblicarlo senza neppure leggerlo e così Irène Némirovsky Epsteinm, del tutto dimenticata, tornò a vivere riguadagnando un posto nella storia della letteratura francese del ‘900. Suite francese fu pubblicato in Francia nel 2004, e divenne presto un best-seller. Da allora è stato tradotto in 38 lingue e dal 2008 ha venduto due milioni e mezzo di copie. Ha vinto il Prix Renaudot e oggi torna in occasione dell’uscita del film, pubblicato da Newton Compton.

Nella Francia del 1940, la bella e giovane Lucile attende notizie del marito prigioniero in guerra, vivendo un’esistenza soffocante insieme alla suocera dispotica e meschina. La sua esistenza viene stravolta quando la città viene invasa dai soldati tedeschi che occupano le case dei cittadini. Inizialmente lei si sforza di ignorare la presenza del suo assegnato, Bruno, raffinato e gentile, ma ben presto i due verranno travolti da un’insana passione.

Come ha lavorato sul finale della pellicola, dato che l’opera di Némirovsky si interrompe bruscamente?

Ho cercato di mantenere alcuni elementi del libro che mi sembravano portare a una spiegazione di quello che sarebbe accaduto a Irène, che è naturalmente legato alla tragedia della guerra. Calcoli che la fine del romanzo che Lei ha letto non corrisponde alla fine delle scritture dell’autrice. Ha lasciato molte note riguardanti il capitolo successivo che stava realizzando e che si sarebbe chiamato ‘Prigionia’. Il che ci ha dato molti indizi su come avremmo potuto terminare il film, che parla principalmente dell’occupazione fino al periodo in cui ha cominciato a crescere la resistenza e di come l’esercito tedesco si è posto nei confronti della popolazione. Quello che abbiamo fatto nell’atto finale del film è stato introdurre più elementi che indicassero cosa Irène stesse cercando di fare con la successiva parte del romanzo. E questo l’ha fatto funzionare. Inizialmente l’esercito tedesco occupa i villaggi, gli ufficiali si insediano nelle case dei cittadini e, in un modo o nell’altro, entrambe le parti cercano di convivere. Ma le cose cambiano quando un ufficiale viene ucciso. Questo è il punto di svolta. Ci siamo mossi su questa strada cercando di immaginare quello che l’autrice avrebbe fatto.

Nel film c’è anche qualche elemento di thrilling. Viene dal romanzo o lo ha mutuato da altre esperienze?

Sicuramente volevo che emergesse un certo senso di tensione. Dopotutto nessuno aveva idea di come comportarsi con questi nuovi arrivati, che gradualmente si inseriscono nella vita del villaggio. Penso che nel romanzo fosse intenzionale creare questo genere di atmosfera perché era veramente molto realistica e vicina alla situazione che si era venuta a creare. Nel libro ci sono molti elementi che riguardano il modo in cui la gente si guarda di traverso e con sfiducia per colpa della situazione. Nessuno era sicuro di cosa fare, ci si parlava sottovoce quando i tedeschi erano in giro. Tutti questi elementi erano già nel libro e poi in una nota Irène ha affermato che lei stessa avrebbe voluto che il libro, una volta finito, sembrasse strutturato come un film, ma anche come un pezzo di musica, in cui ogni parte avrebbe avuto un tempo e una sonorità diversa. Nei tre atti della pellicola ho cercato appunto di creare dei tempi differenti.  Ecco perché nel finale probabilmente la tensione cresce e ci si ritrova appunto a una sorta di thriller, come dice Lei.

Come ha gestito il casting? Aveva già in mente Michelle, Kristin e Matthias per i rispettivi ruoli mentre stava scrivendo?

Probabilmente non mentre scrivevo, ma già quando stavo concludendo e iniziando a pensare al casting Michelle e Kristin erano già in cima alla lista nella mia testa. Ora è difficile per me pensare a qualcun altro nelle loro parti perché hanno portato tantissimo ai personaggi. Matthias, che è belga, l’ho scelto soprattutto perché non veniva dal mondo anglofono, il suo personaggio doveva sembrare ‘diverso’, straniero. Per questo l’ho voluto europeo. Gli altri tedeschi del film invece sono tedeschi veramente.

Non ha considerato di scritturare attrici di madrelingua francese, dato che la vicenda si svolge in Francia?

Certo mi sarebbe piaciuto, ma se vuoi fare un film che parli al mondo devi rivolgerti a un casting internazionale. Michelle e Kristin rappresentano per me un casting dei sogni. Ma comunque non ho voluto creare la situazione tipica di alcuni film storici in cui tutti parlano lo stesso linguaggio ma con accenti diversi. Volevo qualcosa di più realistico per cui, semplicemente, l’inglese ‘interpreta’ linguisticamente il francese, mentre i tedeschi parlano effettivamente tedesco e per i francesi sono incomprensibili.

Pensa che un film del genere possa avere anche un ruolo educativo, magari con un percorso nelle scuole?

Credo che i film sicuramente possano avere un ruolo nelle scuole ma in questo caso l’intenzione non è quella di insegnare. Casomai quella di mettere la gente nella condizione di porsi delle domande, che poi è in definitiva il ruolo principale dell’educazione. Anche l’autrice analizza soprattutto la storia secondo una prospettiva molto umana, cercando di mettere in luce il motivo per cui ciascuno si comporta in un certo modo. Non ci sono ‘buoni’ o ‘cattivi’ ma le proverbiali ‘sfumature di grigio’.

C’è un messaggio specifico, secondo lei, dietro questa storia?

Non credo ce ne sia uno univoco e veramente forte. Probabilmente sarebbe emerso con lo svilupparsi del libro. Ma io penso che sicuramente la storia si focalizzi sul modo in cui le persone si comportano quando sono sotto pressione, e su cosa accade quando si creano delle tensioni in un sistema che viene sconvolto da un elemento estraneo.

Sta già lavorando al suo prossimo progetto?

Sì, ma non ho molto da dire a riguardo. Non so ancora come mi muoverò e rischierei di risultare noioso.

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11 Marzo 2015

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