Festa di compleanno per Ermanno Olmi. Fa quarant’anni Il posto (1961) e per l’occasione arrivano a Bellaria Lamberto Caimi e Fabio Olmi (direttori della fotografia di ieri e di oggi, ma Fabio è anche il figlio di Ermanno e di Loredana Detto) mentre il festeggiato non c’è, è costretto al riposo assoluto dopo la frattura al perone di qualche giorno fa.
Però c’è Sandra Ceccarelli, la nobildonna intrepida del Mestiere delle armi. Reduce da Cannes – “un viaggio che mi è costato tanto sforzo” – è alla sua prima giuria e fa le prove generali di una carriera d’attrice ancora in rodaggio ma già sorprendente. Qualcuno l’aveva già notata nei due film di Piergiorgio Gay (Tre storie e Guarda il cielo passato a Torino, trascurato finora dalla distribuzione). Tra questi, proprio il regista lombardo. Complice Ipotesi Cinema e la radice documentarista di Gay. Per Sandra, milanese cresciuta in tante città, 34 anni e una bellezza limpidissima ma occhi segnati dalla tristezza, l’occasione di diventare attrice dopo una mezza carriera di illustratrice. “La mia vita non è cambiata, è diventata un cambiamento continuo. Positivo ma spaesante”, racconta. “Il cinema è arrivato dal nulla: fai un milione di cose e poi trovi quella giusta. Ma per me che recito senza scuole, grazie alla memoria emotiva e alle esperienze di vita, tutto quello che c’è stato prima è stato fondamentale”.
Come hai cominciato?
A sedici anni con Giuseppe Bertolucci in Segreti, segreti. Facevo la figlia di Stefania Sandrelli. Così ho messo piede a Cinecittà per la prima volta, ma è finita lì.
E poi cosa è successo?
Molti anni dopo, di nuovo per caso. Piergiorgio Gay stava girando, insieme a Sanpietro, Tre storie, semidocumentario ambientato in una comunità terapeutica. Io ho “sostituito” una ragazza che aveva perso il suo amore per aids e che non se la sentiva di interpretare se stessa. Film a basso costo, Tre storie ha vinto il premio Nestle a Torino, un aiuto alla distribuzione nelle sale, e così è diventato un piccolo caso di critica.
Di nuovo con Gay hai girato “Guarda il cielo”, tre ritratti femminili molto forti sulla contraddizione fra lavoro e sentimenti.
Sì. Olmi mi ha chiamato dopo avermi visto lì. Ci siamo incontrati direttamente sul set, a Mantova, nel Palazzo Ducale, senza provini. E’ stato tutto molto intenso: i sotterranei del Palazzo trasformati in set, le armature, i costumi, la folla di comparse. Olmi lo conoscevo per L’albero degli zoccoli e La leggenda del santo bevitore.
Come ti ha spiegato il personaggio?
Mi ha detto soltanto che era una donna talmente innamorata da buttare via la sua vita, l’onore, la speranza di sopravvivere. L’ho immaginato come un amore senza speranza che ti spinge ad abbandonare qualsiasi convenzione.
Una forma di eroismo femminile, speculare a quella del protagonista…
In un certo senso sì. Una determinazione assoluta che nasce appena da uno sguardo tra questa nobildonna e Joanni, durante un torneo.
Come lavora Olmi?
Con una straordinaria concentrazione. Era come se avesse visto ogni scena centinaia di volte. Nessuno di noi aveva un copione, lui ti parlava direttamente della scena da girare, sottovoce, cercando il contatto delle mani, e poi c’era un momento quasi sacro per l’attore in cui tutto si fermava, “adesso l’attrice si prende il suo tempo”, diceva Olmi…
E’ una storia d’amore anche il film di Piccioni.
Anche Piccioni mi ha visto in Tre storie, un pomeriggio di giugno, e ha voluto conoscermi. Ma il nostro rapporto è cresciuto lentamente, passo dopo passo. Fino a scegliermi per Luce dei miei occhi dove sono la donna di cui s’innamora Luigi Lo Cascio. E’ un amore non ricambiato, perché io ho perso la testa per un altro. Ma lui non demorde e il finale è piuttosto aperto.
Andrà a Venezia?
Forse. Non so. Intanto farò il terzo film di Gay, tratto da La forza del passato di Sandro Veronesi.
C’è qualcuno con cui vorresti lavorare? Qualcuno che ammiri?
Mimmo Calopresti o Erick Zonca. E tra le attrici Valeria Bruni Tedeschi. E Gena Rowlands, una che prendeva di petto le cose.
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