VENEZIA – “Tutto questo deve essere filmato”: una presa di coscienza tanto coraggiosa quanto necessaria è ciò che ha guidato la regista russo-canadese Anastasia Trofimova nella realizzazione di Russians at War, documentario presentato Fuori concorso alla 81ma Mostra del Cinema di Venezia. Spinta da un incontro casuale nella notte di Capodanno del 2022, la giovane cineasta si è trovata per circa un anno a riprendere dall’interno – senza autorizzazione e senza accredito stampa – gli spostamenti di un battaglione russo sul fronte della guerra in Ucraina, un’occasione imperdibile per provare a capire le ragioni e le conseguenze di un conflitto apparentemente incomprensibile.
Partendo da 180 km dal fronte, dove si “rimpolpano i ranghi”, fino alle trincee della prima linea, dove si muore come le mosche: lo sguardo di Trofimova ci guida alla scoperta di uomini e donne chiamati a un sacrificio inconcepibile per la maggior parte di noi. Eroi da glorificare o criminali da condannare? La risposta è molto più complessa e al tempo stesso più semplice di così. Quelli che vengono raccontati sono soldati spesso volontari, andati al fronte per seguire gli affetti personali, per un vago senso di patriottismo o per altri cento motivi: per combattere il nazismo, per vendicare gli amici caduti, per proteggere le proprie donne, per evitare che in futuro siano i propri figli a scendere in guerra o, più comunemente, per denaro. Un risarcimento economico che, però, non viene affatto garantito, con i soldati che si trovano bloccati al fronte senza contratti, senza identità riconosciuta e, di conseguenza, senza paga.
“Ho deciso di realizzare Russians at War come una disperata ricerca di comprensione del mio Paese natale e del mio popolo. – dichiara la regista – Nel 2022, mentre molti miei amici e colleghi fuggivano dalla Russia, mi sono messa alla ricerca di risposte nel modo migliore che conoscessi: attraverso il cinema. Mentre la maggior parte degli occhi era rivolta all’Ucraina e all’orrore e alla devastazione che la guerra ha scatenato sul Paese e sulla sua gente, ho puntato il mio obiettivo su coloro che la maggior parte del mondo non aveva mai visto prima: i soldati russi. La mia speranza è che le loro storie contribuiscano a una comprensione più profonda di questa guerra insensata e traumatica”.
Tante le storie che si intrecciano davanti alla camera della regista, che viene accolta tra i ranghi dei soldati come una di loro, perché vista come una persona capace di “raccontare la verità” taciuta dalla propaganda, quella russa come quella occidentale. La storia di Ilya, il padre di famiglia che darà il via al viaggio, quella dei giovani Cap e Cartoon, al fronte insieme per un legame d’amicizia fraterna, o quella di una giovane coppia formatasi nel reparto medico del battaglione russo. Russians at War, al netto delle posizioni che ognuno di noi può avere su questo conflitto, ci regala l’umanità vivida e pulsante che si nasconde sotto la divisa mimetica. Persone come noi – straripanti di fragilità, incoerenze, speranze – con cui è impossibile non empatizzare.
Stupisce in particolare la totale mancanza di consapevolezza dei soldati, accomunati dall’incapacità di dare un senso a ciò che accade attorno a loro. Cosa penseranno i posteri di questa follia? Si chiedono senza sapere come dare una risposta, perché “iniziare una guerra è facile, ma finirla… provateci voi!”. Soprattutto quando, ci si rende conto che l’unico modo per tornare a casa è “con le gambe avanti”, ovvero distesi sulla barella o nella bara. Nella seconda parte del film, infatti, diventano centrali i codici 300 e 200, con cui ci si riferisce rispettivamente ai feriti e ai morti sul campo di battaglia.
Affrontando bombardamenti e rischi di ogni sorta, Anastasia Trofimova ci restituisce una testimonianza preziosa di una Nazione alla deriva, una popolazione “in guerra contro se stessa”, slavi pro Russia contro slavi pro Occidente. “Il mio tentativo – rivela – è quello di toccare il volto del mio Paese attraverso la nebbia della guerra, come una bambina cieca che cerca di riconoscere sua madre”.
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