Al grido di “La più grande delle cospirazioni sta per essere rivelata” arriva Anonymous, una sorta di thriller fantastorico-letterario che divulga al grande pubblico una tesi non nuova (e indimostrabile). William Shakespeare non ha mai scritto una sola riga, anzi era praticamente analfabeta, un attore di quart’ordine che si attribuì la paternità di opere eccelse come Amleto e Riccardo III, nate in realtà dall’immaginazione e dalla cultura di un nobile molto vicino a Elisabetta I, il 17° conte di Oxford Edward de Vere. Su questa traccia, che ha tra i suoi sostenitori Derek Jacobi e Jeremy Irons, ricama in libertà la sceneggiatura di John Orloff che Roland Emmerich, il regista tedesco in pianta stabile a Hollywood, autore di giocattoloni come Independence Day e The Day After Tomorrow, ha trasformato in un film. Oltre due ore a dire il vero avvincenti che in Italia vedremo il 18 novembre e che nel Regno Unito hanno già scatenato controversie a non finire e accuse di lesa maestà.
Premesso che Anonymous non va preso come oro colato, l’edificio che propone è affascinante con una dose di intrighi politici e una profusione di elementi da feuilleton. Ci mostra infatti la relazione tra Edward e la regina, interpretata in due età della vita da Joely Richardson e da sua madre Vanessa Redgrave, la nascita di vari bastardi e una rivelazione da tragedia greca nel finale. Abbondano gli effetti speciali per ricostruire la Londra elisabettiana e il Globe Theatre – rifatto negli studi tedeschi di Babelsberg – mentre il cast è impeccabile, con il gallese Rhys Ifans (Notting Hill) nel ruolo del protagonista, ossessionato dalla scrittura al punto da perdere di vista la possibile successione al trono d’Inghilterra. Proprio all’attore spetta la sintesi più azzeccata del possibile impatto di Anonymous: “Forse questo film potrà fare per il teatro quello che Rocky ha fatto per il pugilato”.
Da lei, Emmerich, non ci saremmo aspettati un film che entra a pieno titolo nella nutrita voga scespiriana, sparigliando le carte.
Per tutta la vita, essendo un lettore vorace e appassionato, ho aspettato di fare un film come questo. Quando ho visto la sceneggiatura di Orloff, ho pensato che era arrivato il momento giusto. Ma non è stato facile, a Hollywood non si pratica questo tipo di cinema e bisogna combattere per avere carta bianca. Alla fine è stato possibile ridurre il budget girando in Europa e creando molti ambienti al computer.
Il film propende per la soluzione oxoniense al mistero, mentre in molti ritengono che il corpus di opere attribuite a William Shakespeare sia in realtà frutto del lavoro di un gruppo di persone. Una cosa molto contemporanea, in stile Luther Blissett o Wu Ming.
La gente a quell’epoca non era molto interessata all’autore e la metà delle volte non c’era neanche il nome sulla locandina dello spettacolo. Oggi succede qualcosa di simile con internet che diffonde informazioni e contenuti senza badare all’autorialità. Se l’autore di Amleto fosse stato un nobile, a maggior ragione non avrebbe potuto firmare col suo nome. In un regno assolutista come quello elisabettiano era la prima volta che un uomo poteva parlare a un vasto pubblico: era l’inizio della libertà di stampa, nonostante vi fosse ancora la censura. Il teatro nacque proprio in quegli anni, grazie all’influsso della commedia dell’arte italiana, gli autori inglesi trovarono il modo di aggirare la censura e contemporaneamente informare il pubblico.
Lei ritiene che l’arte debba fare politica?
Tutta l’arte è politica e questa convinzione è al centro di Anonymous dove si mostra che la penna è più forte della spada. È raro che un film mostri questa filosofia. Ma per me non è una novità. Quando ho letto la prima versione di questa sceneggiatura, dieci anni fa, stavo realizzando The Day After Tomorrow, e anche quel film secondo me parlava di politica.
Si è posto il problema della correttezza storica di quello che racconta o è andato a ruota libera?
Quando si fa un film storico, il problema centrale è proprio questo: quanto basarsi sui fatti storici e quanto inventare. Ma qui di fatti accertati ce ne sono ben pochi. Tutto quello che sappiamo di William Shakespeare è che era un uomo d’affari di Stratford che qualche volta recitava, su di lui come scrittore non abbiamo proprio nulla. Mentre esistono vari possibili candidati al suo ruolo: tra questi il conte di Oxford è il più accreditato. Certo, non abbiamo un testo di suo pugno, il che metterebbe fine alle controversie. Ma neppure di William Shakespeare ci resta poco più che qualche sua firma, con grafia incerta e sempre diversa.
Come si è documentato sull’epoca? Ha tenuto conto della sterminata filmografia di argomento scespiriano ed elisabettiano?
Abbiamo visto tutti i film sull’epoca, ma poi abbiamo capito che volevamo fare qualcosa di nuovo. Una fonte d’ispirazione sono stati i pittori.
Si aspettava la violenta reazione del mondo accademico inglese?
Assolutamente sì. Ho avuto diverse discussioni e ho l’impressione che si sentano proprietari di Shakespeare come se fosse un marchio. Attorno al suo nome c’è un grande business, Stratford Upon Avon è la seconda meta turistica d’Inghilterra. Non si ha idea di quanti prodotti circolino con la sua immagine.
Ha affidato il prologo a un attore scespiriano come Derek Jacobi per mettersi al riparo dalle accuse di superficialità?
Jacobi, insieme a Mark Rylance, che è stato direttore artistico del Globe Theatre di Londra, ha addirittura pubblicato su internet il “Manifesto dei ragionevoli dubbi” sull’identità di Shakespeare. Non avevo certo bisogno di convincerlo a partecipare al progetto.
Come ha preparato Ifans al ruolo del conte di Oxford?
Ho detto a Rhys di osservare lo stilista Karl Lagerfeld, un uomo che tiene molto alla forma, che ha un peculiare linguaggio del corpo. Rhys, da parte sua, ha cercato ispirazione anche in una rockstar come David Bowie, che sentiva vicina alla sua sensibilità.
La sua svolta stilistica è definitiva o tornerà all’intrattenimento puro?
Vorrei fare altri film come questo, ma non rinuncerò al blockbuster. Erano i film che andavo a vedere da ragazzino in Germania, però oggi mi va di rivolgermi anche al pubblico adulto. Il mio prossimo film sarà Singularity, una storia di fantascienza ambientata tra una quarantina di anni che parla di dove arriverà la tecnologia nel prossimo futuro con uomini che saranno ormai per metà macchine. Sarà una sorta di contaminazione tra action movie e fantascienza pura, perché credo sia sempre un ottima cosa mescolare i generi. Un altro progetto a cui sto pensando riguarda Tutankamon. E’ un faraone dimenticato, che venne addirittura cancellato dalla lista dei re insieme ad altri due sovrani. Suo padre aveva introdotto il monoteismo in Egitto, lui venne incoronato a 11 anni in un momento difficile, in cui doveva combattere battaglie terribili.
E’ vero che rifarà “Independence Day”?
Ci penso spesso, ma desidero realizzare un sequel non banale. E vorrei che ci fossero tutti gli attori del primo, compreso Will Smith, che sta ancora valutando la nostra proposta. La sceneggiatura in ogni caso sarà pronta a metà del 2012.
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