Daniel Brühl: “Karl Lagerfeld, la solitudine del Kaiser della moda”

'Becoming Karl Lagerfeld' è la serie Disney+ dedicata alla figura del Kaiser della moda interpretato da Daniel Brühl. Che rivela: "I miei riferimenti sono De Sica, Fellini, Visconti e Marcello Mastroianni, il mio eroe da quando avevo 15 anni"

Daniel Brühl: “Karl Lagerfeld, la solitudine del Kaiser della moda”

Un’immersione pop e colorata nel mondo della moda anni ’70 è il filo avvincente di Becoming Karl Lagerfeld, la serie diretta da Jérôme Salle e Audrey Estrougo, sei puntate dal 7 giugno su Disney+. Prodotta da Gaumont e Jour Premier con un bel cast internazionale, in cui figurano anche Sara Serraiocco e Carmen Giardina nel ruolo visivamente impeccabile ed estremo della Papessa di Vogue Italia, la giornalista e socialite Anna Piaggi, la serie francese prende spunto dalla biografia di Raphaëlle Bacqué intitolata Kaiser Karl e si concentra proprio sulla creazione del personaggio Lagerfeld (1933-2019) interpretato dall’attore tedesco Daniel Brühl. Tra scena pubblica e privato,  emergono anche i risvolti più intimi, tra cui l’amicizia amorosa con il giovane Jacques de Bascher (Théodore Pellerin), aspirante scrittore e dandy dalla vita dissoluta con cui l’eros non venne mai consumato dall’asessuato Lagerfeld, ma che gli fu sempre vicino. Spiccano poi il rapporto decennale con Yves Saint Laurent (Arnaud Valois), genio dell’haute couture sostenuto dal discusso uomo d’affari e amante Pierre Bergé (Alex Lutz). Quindi le schermaglie con la titolare di Chloè Gaby Aghion (Agnès Jaoui), il rapporto simbiotico con l’austera madre in odore di nazismo (Lisa Kreuzer). Karl sta cercando la sua strada tra commercio e arte, tra prêt-à-porter e aspirazione a diventare uno stilista riconosciuto e rivaleggiare con lo stesso Saint-Laurent. Uomo problematico, consumato dalle sue ambizioni, incapace di lasciarsi andare, si specchia nel sensuale e disinvolto Jacques de Bascher, ma la febbre che lo rode è l’ambizione e la ricerca di visibilità che sembra trovare negli incontri con la diva in disarmo Marlene Dietrich (Sunnyi Melles) o nell’amicizia con la rampante Paloma Picasso (ospiterà la sua festa di nozze e disegnerà per lei l’abito da sera). Viene affrontato anche il rapporto con l’Italia e con le sorelle Fendi, mentre il racconto si interrompe quando Karl è convocato da Chanel per diventarne lo stilista.

Tra Parigi, Monte-Carlo e Roma, Becoming Karl Lagerfeld ci offre un convincente ritratto di un uomo ma anche di un’epoca che più glamour non si può, un tempo dove tutto è possibile, pre Aids (de Bascher si ammalerà proprio di questa malattia che lo porterà alla morte e che sembra essere il crinale di un’epoca). Canzoni e ritmi indimenticabili, da Janis Joplin a Nina Simone, eccessi e stranezze, cura maniacale del look (leggendari gli stivali di pelle rossa di Lagerfeld), ma anche solitudine e crisi di nervi (Yves Saint Laurent, già molto raccontato dal cinema, ne è la vittima designata), alcol e droghe: tutto questo prima della svolta bicromatica del Lagerfeld maturo, quello del rigoroso bianco e nero.

In questo frullatore è Daniel Brühl a tenere la barra, con la sua capacità sottile di trasmettere tutte le contraddittorie emozioni di un personaggio apparentemente  congelato nella sua imperturbabilità, qualsiasi cosa accada attorno a lui. L’attore di Goodbye, Lenin!, Bastardi senza gloria, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Rush e del recente Race for Glory, tedesco nato a Barcellona, poliglotta quanto Lagerfeld, si è raccontato generosamente ai giornalisti italiani.

Lei parla anche italiano.

Il mio italiano è una catastrofe, mentre Karl Lagerfeld se la cavava meglio, anche se con forte accento tedesco. Era un genio linguistico. Io sno cresciuto in una famiglia mista – padre tedesco, madre spagnola, due zie francesi – e mio padre citava sempre l’imperatore Carlo V che diceva: in tedesco si parla ai cavalli, in spagnolo a Dio, in francese all’amante.

La serie racconta Karl Lagerfeld prima che diventasse famoso. Lei che idea se ne era fatto?

Lo avevo incontrato una sola volta, venti anni fa, ho visto i suoi occhi per un istante. Indossava una sorta di uniforme: occhiali scuri, capelli candidi raccolti in un codino, guanti alle mani. Come Andy Warhol aveva bisogno di difendersi, da giovane era un uomo insicuro, fragile e molto romantico che si era costruito attorno questo personaggio.

Lei ha trovato qualche punto di contatto con lui? 

Tra pochi giorni compio 46 anni e ho capito il suo percorso di crescita anche se io non sono uno che rifiuta di invecchiare. Lavorare a questo ruolo è stato come fare un puzzle di 10mila pezzi, era una persona complessa. Ho studiato la sua figura attraverso i libri scritti su di lui, ho incontrato alcuni suoi amici, ho rivisto vecchie interviste, poi mi sono tuffato a testa in giù. Vivo in Spagna in un luogo isolato e ho avuto come spettatori gli asini e le capre che hanno assistito alle mie performance nei panni di Karl. Le pecore sono rimaste molto colpite.

La serie affronta aspetti molti intimi.

È un personaggio impegnativo, iconico e misterioso, il rischio era di farne una caricatura. Era un uomo riservato e discreto che voleva essere amato e rispettato, un tedesco che voleva conquistare Parigi. Da una parte cercava di aprirsi all’amore ma dall’altra aveva paura di perdere il controllo. La sua era una solitudine estrema affiancata da una grande visibilità, perché era sempre sotto i riflettori.

Venne definito un mercenario del pret-à-porter. Lei si è sentito qualche volta così?

Mio padre, che faceva documentari, mi ha introdotto alla professione dell’attore e una delle cose che mi consigliava sempre era di creare storie in cui potessero riconoscersi tutti, dal tassista all’intellettuale. In Germania a volte mi hanno fatto sentire un attore pret-à-porter e sono stato disprezzato da certi critici. Ma i miei riferimenti sono De Sica, Fellini, Visconti e naturalmente Marcello Mastroianni, il mio eroe da quando avevo 15 anni.

Del resto Lagerfeld era un uomo molto colto.

Sì, parlava di letteratura con cognizione di causa, leggeva Proust e i romantici tedeschi, che aveva sul comodino, ma al tempo stesso era un’icona pop, era immerso in un mondo folle e frenetico. Fotografo e illustratore, artista ma anche uomo d’affari, era tante cose insieme. Apprezzo molto che non abbia mai perso la curiosità e il desiderio di stare a contatto con i giovani per cogliere lo spirito dei tempi. Non era un nostalgico, viveva nel presente.

A breve si voterà in Europa e lei ha pubblicato un appello sui social.

Sono cresciuto in un tempo privilegiato, avevo 11 anni quando è caduto il Muro di Berlino e ho sempre creduto nei valori del rispetto e della tolleranza. Oggi però sono preoccupato perché sembra che si stia perdendo questo senso di comunità. Però ho due figli e non posso permettermi di essere pessimista. Diciamo che non ci sono scorciatoie come sembrano farci credere i populisti, noi tedeschi abbiamo imparato dalla nostra Storia e dobbiamo continuare a farlo.

Com’è stato lavorare con Théodore Pellerin?

Incredibile, tra noi c’era una chimica straordinaria. Il primo giorno di riprese avevamo lavorato alla scena in cui Karl incontra Marlene Dietrich, una scena impegnativa e io sentivo molta pressione. Quando sono tornato in camerino ho trovato un mazzo di 150 rose. C’era un biglietto che diceva: “Pour Karlito de la part de Jacquot”. Era un omaggio di Théodore, un modo per iniziare la seduzione tra noi. Era la prima volta che recitavo una love story con un uomo e ho dovuto confessare a mia moglie che a un certo punto lo amavo davvero, ma lei mi ha detto: nessun problema, sono aperta a questo.

Lei ha recitato nel ruolo di Niki Lauda, sente una responsabilità nel dar vita a persone reali?

Karl Lagerfeld in Germania è un personaggio che tutti conoscono, è più famoso di Niki Lauda. E devo confessare che la premiere di Parigi mi preoccupava meno di quella di Berlino. Ma in questi casi occorre abbassare il volume e non stare ad ascoltare tutte le opinioni e magari le cattiverie che qualcuno potrà scrivere sui social.

Che rapporto ha con l’alta moda?

Ho imparato molto per il film, sono stato per tre giorni ospite di Chloè, ma è stato soprattutto Alessandro Sartori, direttore artistico di Zegna a ispirarmi.

Presto la vedremo nel film ‘The Collaboration’, nel quale è il collezionista d’arte Bruno Bischofberger, l’artefice del primo incontro tra Andy Warhol e Jean Michel-Basquiat. Cosa farà in futuro?

Vorrei dirigere un secondo film da regista e presto sarò nel nuovo progetto di Ruben Östlund che considero un genio.

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05 Giugno 2024

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