Se il motto de Il risveglio della Forza, pronunciato dall’inossidabile Han Solo era “siamo a casa”, quello di Rogue One, primo spin-off della serie Star Wars da quando è stata acquisita da Disney, ora in sala in 750 copie, potrebbe essere “Questa è la nostra chance di fare la differenza”. Se infatti il sequel/reboot dello scorso anno si muoveva su coordinate parzialmente obbligate con la necessità di inserire gli elementi che tutti si aspettavano, lasciando un po’ in secondo piano l’approfondimento e lo sviluppo della trama, questo è un film più libero, che si incastra cronologicamente tra la prima e la seconda trilogia raccontando la quest di un gruppo di ribelli incaricati dal Destino (o, diremmo, dalla ‘Forza’ stessa) di rubare i piani della temibile arma di distruzione di massa ‘Morte Nera’, che poi vedremo distrutta, grazie a questa azione, in Episodio IV. E’ la classica ‘Untold Story’ che, sì, deve portare a una risoluzione ben precisa (e lo fa, con naturalezza, senza manipolazioni buoniste nonostante il marchio della casa di Topolino) ma quello che conta è la strada per arrivarci.
Pur concedendosi qualche momento nostalgia – tra cui spicca la ricostruzione in digitale, per la verità un po’ artefatta, del Gran Moff Tarkin, interpretato nella saga originale dal compianto Peter Cushing – il film si regge sulle proprie gambe, fondandosi su una sceneggiatura solida che non solo mette in scena con maestria una storia corale perfettamente autonoma e autoconclusiva – forse è il primo film di Star Wars a poter essere apprezzato appieno anche da chi non ha mai seguito il franchise – ma riesce anche a tappare qualche falla nello script degli episodi precedenti grazie a un paio di intuizioni particolarmente azzeccate. I personaggi sono ben caratterizzati, con una particolare nota di originalità in quello di K-2SO, cinico droide imperiale riprogrammato per servire i rivoluzionari. Particolarmente interessante l’approccio di prospettiva: il confine tra ‘bene’ e ‘male’ non è netto come nelle pellicole precedenti. “In nome della causa abbiamo fatto cose terribili”, dice uno dei protagonisti. “È la realtà della guerra – ha affermato Edwards in un’intervista – I buoni sono cattivi. I cattivi sono buoni. È complicato, con molte sfumature; è uno scenario molto interessante in cui ambientare un film”. E in effetti questo avvicina Rogue One al genere bellico, sebbene ambientato in un contesto fantasy, con echi di Platoon e Salvate il soldato Ryan (senza arrivare a quei picchi di violenza grafica. Il film resta comunque per tutte le età), ma anche di opere con scenario storico più antico, come ad esempio 300. D’altro canto, siamo in Guerre Stellari: il tema della guerra è implicito, sempre. Ma stavolta non viene messo in ombra da altri elementi di natura sentimentale, mistica, filosofica o cavalleresca. E’ guerra ‘vera’, con i terroristi, le strategie, la gente che soffre e la necessità, a volte, di prendere decisioni discutibili in vista di un bene maggiore.
La Forza è spesso nominata, esiste come concetto filosofico, ma non può agire direttamente se prima non viene riportata la speranza, che diventa qui uno dei temi portanti. A questo gruppo di anarchici troppo idealisti perfino per l’Alleanza Ribelle non resta che contare sulle poche risorse che hanno a disposizione: sudore, sangue e spirito di sacrificio. Il tono è epico, se vogliamo più ‘adulto’ rispetto a quanto visto finora. Siamo sempre nell’universo creato da Lucas, ma si vedono pochi alieni e poche spade laser, perché la storia si concentra su altro. La volontà di differenziarsi è chiara fin dall’inizio e da alcune scelte formali, come la mancanza del classico ‘crawl’ iniziale con il testo giallo che scompare nello spazio profondo (resta invece l’immancabile indicazione d’ambientazione ‘Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…’).
Lo stesso dicasi per la colonna sonora, a firma di Michael Giacchino, che pur richiamando i familiari temi composti da John Williams in vari punti cerca di proporre una linea portante nuova e autosufficiente, a cui bisogna dare un po’ di tempo per abituarsi. E la regia di Gareth Edwards, pur non offrendo particolari innovazioni, fa il suo ‘sporco’ lavoro mettendosi a servizio di tutti gli elementi che abbiamo citato fin qui, riuscendo a portare a casa, se non un’opera rivoluzionaria – malgrado il tema – sicuramente uno dei film di intrattenimento più sorprendenti della stagione cinematografica. Nel cast Felicity Jones, Diego Luna, Ben Mendelsohn, Donnie Yen, Mads Mikkelsen, Alan Tudyk, Jiang Wen, Forest Withaker e Riz Ahmed. Genevieve O’Reilly e Jimmy Smits riprendono i rispettivi ruoli di Mon Mothma e Bail Organa (il padre della principessa Leia).
Cosa nota è la presenza di Darth Vader, protagonista di due scene brevi ma significative. E’ interpretato da diverse controfigure – nonostante molti sperassero nel ritorno di Hayden Christensen che gli diede corpo nella trilogia prequel – e doppiato, nella versione originale, dalla sua voce tradizionale: quella profonda e inquietante di James Earl Jones.
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