Roberto Andò: “Una commedia beffarda per svelare i misteri italiani”

Un mistero italiano che diventa giallo venato di commedia. Stiamo parlando di Una storia senza nome, il nuovo film di Roberto Andò in selezione ufficiale


VENEZIA – Un mistero italiano che diventa giallo venato di commedia, ovvero commedia beffarda con spunti di noir. Stiamo parlando di Una storia senza nome, il nuovo film di Roberto Andò (Viva la libertà, Le confessioni) presentato in selezione ufficiale. La trama, complessa e stratificata, si direbbe barocca, compreso un film nel film, parte dal furto della Natività del Caravaggio che fu trafugata nel 1969 a Palermo. Della vicenda pentiti di mafia hanno dato diverse e spesso fantasiose versioni – la tela sarebbe stata usata da Totò Riina come scendiletto – ma ancora non è stata stabilità la verità. Così Andò immagina che Alberto Rak, un funzionario dei servizi segreti in pensione (Renato Carpentieri) contatti la segretaria di un produttore che di nascosto fa la sceneggiatrice (Micaela Ramazzotti) lavorando come ghost per uno sceneggiatore famoso ma insulso (Alessandro Gassmann). Rak suggerisce alla ragazza un intreccio che, via via, svela nuovi tasselli di questo mistero. Fino a coinvolgere il governo e la trattativa Stato-mafia. 

E’ Alessandro Gassmann a sintetizzare uno dei percorsi interpretativi del film, molto denso di riferimenti: “Rappresento il cialtrone, una figura drammaticamente presente nella nostra società, che è permeata di cialtronaggine. Il cialtrone ci fa ridere e questo è la causa dei nostri problemi. Se andremo a sbattere, cosa che non mi auguro, è perché continuiamo a ridere e la risata è sempre più amara e preoccupante”.

Dentro la commedia c’è senza dubbio una vena sciasciana, anche nel modo di suggerire risposte fantasiose e immaginative a uno dei tanti misteri della storia italiana: “Sciascia era abile nel creare gialli anomali, senza soluzione – risponde il palermitano Andò – al contrario del giallo anglosassone che ha sempre un colpevole. In Italia la realtà ci suggerisce questo. L’investigatore arriva al risultati in modo visionario e non per deduzione. Ma, a parte Sciascia, la letteratura se n’è occupata poco. E’ il cinema, piuttosto, che ha indagato i misteri e i misfatti italiani, ieri più di oggi, perché oggi la televisione ha tolto spazio a quel cinema”.

Tra le figure anche quella regista interpretato da un vero regista Jerzy Skolimowski: “L’avevo conosciuto due anni fa a Venezia, quando ero nella giuria Classici. Ha una grande faccia e mi è sembrato giusto per il ruolo di un regista straniero alla sua ultima chance per fare un grande film, è un uomo fascinoso e misterioso. E come tutti i registi chiamati a recitare è un attore molto diligente”. Affascinato dalla storia del furto del Caravaggio – un ricordo d’infanzia – Andò è però partito nella scrittura, affiancato da Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti – proprio dalla voglia di fare un film sul cinema, con un tono alla Pietro Germi. Nasce così il personaggio di Valeria in cui Micaela Ramazzotti appare come non l’avevamo mai vista, intelligente e un po’ mascolina che poi tira fuori nel corso della narrazione lati inaspettati. “E’ la prima volta che Roberto ha una protagonista femminile – racconta l’attrice – e questo mi ha fatto molto piacere. Ho osservato proprio lui per costruire il personaggio, rubacchiando il suo modo di guardare gli altri per poi scriverne e mettendomi gli occhiali come lui”.

E sceneggiatori, in un certo senso, sono anche i pentiti di mafia che hanno in questi decenni depistato la magistratura con versioni grottesche. Spiega Andò: “E’ difficile scremare il vero dal falso anche perché i pentiti mescolano verità e invenzione. Marino Mannoia disse che si era trattato di un furto su commissione e che il quadro si era sbriciolato, Gerlando Alberti che era stato seppellito in una stalla e mangiato dai porci. C’è stata tutta una fioritura di deposizioni inattendibili. La commissione antimafia guidata da Rosi Bindi è arrivata alla conclusione, provvisoria, che sia stato tagliato in quattro e venduto a un mercante d’arte svizzero che l’avrebbe portato in Giappone. Di tutte queste storie mi ha colpito quanto fossero sopra le righe. La Palermo di quegli anni era una città in cui poteva succedere di tutto”. 

Per Renato Carpentieri “il film è pieno di ambiguità, anche tra i generi. Tutti i personaggi sono doppi, come nei libri di Sciascia o in Pirandello. Questa doppiezza, questi intrighi, fanno parte della nostra cultura. Tutti hanno un travestimento”. “In Sicilia – aggiunge Andò – l’impostura è sempre in agguato, da Cagliostro in poi. C’è anche una dimensione giocosa in questo, però è vero che la Sicilia scommette al peggio. Che l’identità stessa sia una finzione è un’idea affascinante che ci deriva da Pirandello”. 

Le due figure femminili principali preferiscono dettare le loro parole nell’ombra, forse un’allusione al ruolo delle donne nella nostra società? Valeria fa la ghost writer e anche sua madre (Laura Morante) suggerisce i discorsi al ministro della Cultura (Renato Scarpa): “Il ghost writer poteva anche essere un uomo, non l’ho concepito come una riflessione sul ruolo femminile, anche se è vero che entrambe preferiscono restare nell’ombra”, dice Andò. Piuttosto per il cineasta è la politica a non avere più parole da dire, ripiegando in un balbettio senza senso. “L’Italia è in un momento di commedia, intesa come unione di tragico e ridicolo. I politici, più che suscitatori di speranze, sono ormai portatori di ridicolo. Però da qualche parte c’è del talento che si muove”. Magari nell’ombra. 

Prodotto da Angelo Barbagallo per BiBi Film con Rai Cinema, Una storia senza nome uscirà il 20 settembre con 01 Distribution. 

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