Roberta Torre: “Da Monica a Monica”

In sala, con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection dal 20 ottobre Mi fanno male i capelli, il nuovo film di Roberta Torre, magico duetto tra Alba Rohrwacher e Monica Vitti


Roberta Torre è in concorso alla Festa di Roma con Mi fanno male i capelli, gioco di specchi costruito sul dialogo tra due attrici: Alba Rohrwacher e Monica Vitti. Tutto questo attraverso la fiaba di Monica e della sua malattia, una perdita progressiva della memoria che finisce per portarla dentro un mondo immaginario, quello dei film di un’altra Monica, Vitti, con la complicità a volte attonita ma sempre tenera del compagno Edoardo (Filippo Timi), in una casa sulla spiaggia che trasmette  il senso di libertà piuttosto che di costrizione e prigionia. Ma Mi fanno male i capelli – il titolo nasce da una battuta di Deserto rosso  divenuta proverbiale – è anche una riflessione sul cinema e la rappresentazione tout court, con i suoi percorsi tortuosi ma anche meravigliosi. “Qui – spiega Roberta Torre – un passato lontanissimo dialoga con il presente, è un lavoro che domani potrebbe essere fatto dall’Intelligenza Artificiale, sarebbe bello se domani Favino dialogasse con Marilyn Monroe. Io dico sempre che in questo film ho lavorato con Alba Rohrwacher e Filippo Timi, ma anche con Monica Vitti, Marcello Mastroianni e Alberto Sordi: sono nostri contemporanei e volevo che vivessero con noi sul set”.

Con le musiche di Shigeru Umebayashi (un titolo su tutti, In The Mood For Love, per il musicista che qui ha appena avuto il premio alla carriera) e i costumi di Massimo Cantini Parrini, il film è prodotto da Donatella Palermo (Stemal Entertainment) con Rai Cinema e sarà in sala, con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection dal 20 ottobre.

«Questo film racconta la vita di Monica, che ha cominciato a dimenticare e cerca disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi quando sente di perdere parti dei suoi ricordi. Lo trova nei personaggi dei film di Monica Vitti, la donna che ha potuto essere tutte le donne possibili raccontandole con le loro debolezze e fragilità, nella loro parte comica e in quella tragica. L’attrice che unisce il riso al pianto e permette di mostrare la donna in tutto il suo modo di essere, senza stereotipi, con umanità”, spiega Roberta Torre.

Che ancora una volta, come nel precedente Le favolose, ci intriga in una storia di fantasmi e usa gli abiti e i colori per intraprendere un percorso tutto femminile sulla ricerca di un’identità, ancor più di un’identità messa in crisi dalla malattia neurologica, la sindrome di Korsakoff. Con la collaborazione alla sceneggiatura di Franco Bernini, il film ci trasporta progressivamente dentro la mente di una giovane donna, nelle sue fantasie, nei suoi giochi, condivisi con un partner dolce e accogliente, che non le fa mancare mai il suo appoggio, anche se la coppia vive gravi difficoltà economiche. Le parole dei vecchi film diventano le sue parole, le loro parole, in un rispecchiamento che ha qualcosa di miracoloso e toccante. Per Alba Rohrwacher “Monica Vitti è stata un punto di riferimento per me studentessa di cinema e spettatrice, interprete immensa, sublime, che ha nutrito il mio immaginario. Il lavoro con Roberta ha consolidato questo rapporto su un piano ancora più intimo, l’ha fatta entrare nel mio inconscio. Abbiamo cercato e trovato l’autenticità. Roberta ha costruito un microcosmo per questi due personaggi gentili”.

Alba parla della magia del film, che passa anche attraverso gli abiti disegnati da Massimo Cantini Parrini e ispirati liberamente ai film di Monica Vitti, lungo tutto l’arco della sua carriera, ma soprattutto nelle opere di Michelangelo Antonioni e nel sodalizio con Alberto Sordi, molto evocato nella seconda parte del film. “Siamo stati nella sartoria che ha fatto i costumi per La notte – racconta Alba – e abbiamo trovato il vero abito indossato per Polvere di stelle. Mi hanno permesso di indossarlo e mi stava perfettamente, come la scarpetta di Cenerentola. In quel momento ho sentito l’amore che stavamo mettendo nel progetto, un vero omaggio a Monica. Era come se lei ci proteggesse dal cielo”.

Per Roberta Torre, questo è “un film sulla memoria e sulla perdita della memoria. Ci sono tanti casi simili, dalla moglie di Johnny Rotten dei Sex Pistols al rapporto tra Monica Vitti e Roberto Russo. A lui abbiamo parlato del progetto e lo ha condiviso. Ma già leggendo l’autobiografia di Monica Vitti si trovano tante riflessioni sulla perdita della memoria. Diceva di prediligere le emozioni, i sentimenti, ma che i fatti l’attendevano sempre in fondo al viale. Per un’attrice la memoria è tutto, è il mondo su cui lavora. Che un’attrice voglia perdere la memoria è straordinario anche perché il cinema è materia di memoria”.

Non teme la regista di Tano da morire e Riccardo va all’inferno di essere considerata un’intrusa nel mondo intimo dell’attrice scomparsa all’inizio del 2022, quando il film era già in produzione? “Ognuno vedrà quello che vuole, naturalmente. Ma Roberto Russo sa che da parte mia non c’era quell’intenzione ed era felice del progetto”.

Interviene Filippo Timi, interprete sensibile nel ruolo del marito accudente: “Ricordo di aver visto Polvere di stelle a metà degli anni ’80 quando finalmente a casa nostra era arrivato un televisore Grundig a colori. Monica Vitti era goffa eppure bellissima, mi faceva ridere e piangere allo stesso tempo, come Anna Magnani”. Per Alba il primo ricordo di Monica risale ai tempi del Centro Sperimentale, una proiezione de La notte alle 8 del mattino, in pellicola. “Una folgorazione”.

Roberta Torre spiega di scegliere gli attori che siano in grado di nutrire un progetto. “Mi piace lavorare creativamente con il loro corpo e le loro idee. Questo è un film con una sceneggiatura di ferro, ma l’alchimia fantastica che si è creata fra loro due ha fatto di più. Il personaggio di Filippo Timi regge, accudisce, è un maschile che io amo”.

La presenza di Nicole De Leo in un ruolo di contorno è un preciso riferimento a Le favolose, un film che ha in comune con questo l’uso creativo degli abiti e dei colori, alla ricerca del tempo perduto. “Nicole nel film è un’amica di famiglia che rivendica i suoi abiti come ricordi. Segnala un rapporto con la memoria che viene evocata attraverso gli oggetti, come talismani. Attraverso ogni abito si apriva una porta su un film del passato che diventava presente. Non c’è stata mai una riproduzione, ma l’evocazione di altri mondi. Nell’ultimo dialogo con Monica Vitti, il personaggio di Alba si rende conto che la sua mise non è uguale, ma va bene lo stesso. Poi si chiede se c’è ancora qualcuno dentro la sala. È una domanda che riguarda tutti noi. Le risponde Monica e parlano di cose di donne: amore, dolore, malattia, viaggi”.

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