VENEZIA – Tye Sheridan (classe 1996, debutto a 15 anni con il film vincitore della Palma d’oro a Cannes The Tree of Life di Terrence Malick, Premio Marcello Mastroianni nel 2013 per Joe, scelto di recente da Steven Spielberg come protagonista di Ready Player One) è il giovane interprete di The Mountain, terzo film in concorso della giornata. Diretto dal 47enne Rick Alverson, autore poliedrico – è anche musicista – crudele e raffinato, ha nel cast anche il francese Denis Lavant impegnato in una perfomance tra strazio e provocazione nel ruolo di un uomo canadese, padre di una ragazza malata di mente che viene sottoposta alle cure radicali di uno psichiatra fautore dell’elettroshock e della lobotomia.
Ispirato a un personaggio realmente esistito, il dottor Walter Freeman, celebre, tra l’altro per aver sottoposto al radicale intervento Rosemary Kennedy, sorella di John e Robert, il film si svolge nell’America degli anni ’50 con lo psichiatra (interpretato da un superlativo Jeff Goldblum) che gira da un ospedale all’altro per sottoporre i pazienti, specialmente giovani donne, alla cruenta procedura che ha effetti devastanti di spersonalizzazione e riduce i pazienti a uno stato poco più che vegetale. A lui si unisce il giovane e depresso Andy (Tye Sheridan appunto), che ha da poco perso il padre e ha la madre ricoverata in manicomio: il medico lo “adotta” incaricandolo di fotografare i suoi pazienti ma l’incontro con una di loro, la giovane Susan (Hannah Gross), metterà in crisi l’equilibrio.
Jeff Goldblum definisce il film un’opera poetica e il regista un vero e proprio “genio”, coraggioso in questo confronto diretto con l’intervento di lobotomia che viene più volte messa in scena, sia pure non in primo piano. The Mountain vuole indagare su una società americana maschilista, sui giovani schiacciati dai propri padri, che sono veri padroni. L’attrice canadese Hannah Gross racconta: “Conosco una persona che è stata lobotomizzata nello stato dell’Arizona… Questa donna, in seguito all’operazione, era diventata completamente docile e tendeva a ripetere sempre le stesse cose. Negli anni ’50 non era infrequente che gli uomini chiedessero una lobotomia per le proprie donne per renderle più docili”.
Alverson ha voluto privilegiare uno stile formale e ripetitivo, quasi ritualizzato e piuttosto deprimente, curiosamente uno stile alla Lanthimos: “Spero che lo spettatore lo percepisca, anche dal punto di vista delle singole inquadrature… Mi piace fare sentire un attrito sul materiale filmico, soprattutto in una società che sta diventando sempre più cieca rispetto ai contenuti. È un film difficile da digerire…Una sorta di lotta interiore, ma che diventa positiva”.
Tye Sheridan ha raccontato in conferenza stampa di aver già lavorato con Rick Alverson in passato per il film Entertainment: “Ammiro il suo coraggio perché questo The Mountain è un film diverso dal solito. Credo che la lobotomia sia una metafora più grande e si riferisca alla credenza di poter aggiustare le persone ‘diverse’… Credo che il personaggio contempli davvero queste idee (la supremazia dell’uomo, il sesso con cui doversi identificare, come bisogna essere anche quando non è la scelta giusta, ecc.). Rick ha affrontato un tema che non vediamo spesso al cinema…”.
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