Dal 31 maggio all’8 giugno il Walter Reade Theater di New York, il cinema del cuore dei cinéphiles newyorchesi più attenti alla cinematografia internazionale, aprirà all’Italia con la sesta edizione di Open Roads, la rassegna che ospita Carlo Verdone, Kim Rossi Stuart, Gabriele Salvatores e tanti altre figure di primo piano del panorama italiano. Il padrone di casa sarà, ancora una volta, Richard Peña direttore della programmazione della Film Society del Lincoln Center, direttore del New York Film Festival e insegnante alla Columbia University.
“Open Roads è nato in collaborazione con l’agenzia di promozione del cinema italiano all’estero, ieri Italia Cinema, oggi Filmitalia, come vetrina per introdurre il pubblico americano al nuovo cinema italiano. Nel 2001 è stato un grande successo che oggi continua” ricorda Peña che abbiamo intervistato alla vigilia della partenza per Cannes. Il programma, oltre agli ultimi lavori dei registi già citati, comprende i lungometraggi La Terra di Sergio Rubini, Arrivederci amore, ciao di Michele Soavi, La passione di Giosuè l’ebreo di Pasquale Scimeca, Fuoco su di me di Lamberto Lambertini, Mater Natura di Massimo Andrei, Romanzo criminale di Michele Placido e E il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti. Inoltre, cinque corti tra cui lo strapremiato Aria di Claudio Noce.
Peña, tra i tredici titoli qual è quello che l’ha colpita particolarmente per estetica e contenuti?
Romanzo Criminale di Michele Placido mi ha colpito per l’abilità del regista, la complessità della storia e una sceneggiatura brillante. Nella nostra ampia selezione c’è anche un piccolo film come E il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti che racconta di un paese in cui la gente parla occitano, una lingua di cui neppure immaginavo l’esistenza. I film di Open Roads spesso rivelano aspetti inediti e sorprendenti dell’Italia.
Qualcuno dei film ha già una distribuzione americana?
Credo nessuno. Gli anni scorsi però diversi film sono usciti negli Stati Uniti dopo Open Roads. Penso a Caterina va in città di Paolo Virzì e Non ti muovere di Sergio Castellitto. Il Lincoln Center è un’istituzione culturale ma non sottovalutiamo l’aspetto commerciale del cinema. Tanti importanti distributori stanno a New York e cerchiamo di coinvolgerli. Un elemento interessante è che preferiscono venire alle proiezione per il pubblico invece che a quelle per la stampa. E’ un’opportunità per testare le reazioni dell’audience americana.
Secondo alcuni curatori internazionali, in Italia la riforma dei finanziamenti ha influenzato in modo negativo la produzione. Lei è d’accordo?
E’ vero che quest’anno è tutto un pò più lento, specie per i registi più giovani però mi sembra che, in termini di risultati, sia un’ottima annata. Cannes ha selezionato Moretti e Bellocchio e c’è attesa per il nuovo film di Amelio.
Il caimano di Moretti è assente da Open Roads.
Non ho avuto ancora occasione di vederlo, lo farò a Cannes e spero di portarlo in America a settembre per l’edizione 2006 del New York Film Festival.
Come valuta la diffusione del cinema italiano nelle sale e nei festival statunitensi?
In America il mercato per i film in lingua straniera è estremamente ridotto, di conseguenza anche la presenza del cinema italiano è limitata. Tuttavia gli spettatori americani hanno una familiarità “storica” con la produzione italiana. Tra i prossimi appuntamenti di grande rilievo c’è la grande retrospettiva dedicata a Roberto Rossellini organizzata da Museum of Modern Art di New York. Anche il Lincoln Center ha una serie di progetti in cantiere.
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