Kathy Bates ha appena ricevuto una candidatura all’Oscar per la sua interpretazione di Bobi Jewell, madre affettuosa e accorata che assiste per 88 interminabili giorni al tentativo da parte dell’Fbi e dei media di incastrare il figlio Richard con tutti i mezzi (spesso ai limiti dell’illecito). I federali le perquisiscono casa, arrivando a sequestrare anche i Tupperware e le videocassette della Disney, mentre le tv di tutti gli Stati Uniti assediano l’appartamento e il telefono non smette di squillare. Bobi prima piange e si dispera, poi alza la testa e, sostenuta dall’avvocato di Richard, parla a cuore aperto ai giornalisti, gli stessi che hanno messo alla gogna suo figlio, in una conferenza stampa che è una delle scene clou del film.
Il nuovo film del quasi novantenne Clint Eastwood è basato su una storia vera (incredibilmente attuale, perché si fa presto a distruggere la reputazione di una persona a suon di fake news e illazioni) avvenuta ad Atlanta nel 1996 quando i telefonini erano degli aggeggi scomodi e internet doveva ancora esplodere. Il 27 luglio vi fu un attentato al Centennial Park durante le celebrazioni dei giochi olimpici. Richard è un trentenne sovrappeso, complessato e maniaco del controllo, che ama l’esercito, venera la polizia e ha in casa un arsenale di armi per la caccia. Ha perso un paio di lavori, sempre nel ramo, per il suo eccesso di zelo e ora fa l’addetto alla sicurezza pro tempore. Ma sarà proprio lui a scoprire lo zaino sospetto nascosto sotto una panchina durante un concerto: la sua insistenza fa sì che venga sventato un massacro anche se il bilancio dell’esplosione è ingente, con due morti e un centinaio di feriti.
Eroe per un giorno, Richard finisce ben presto nel mirino di un agente dell’Fbi che ha bisogno di un colpevole a tutti i costi. E la sua soffiata alla giornalista locale piuttosto disinibita diventa subito scoop. Richard ha il profilo del lupo solitario, forse è gay, comunque vive ancora con la madre, insomma è l’unico sospettato, anche se non c’è una sola prova contro di lui. Ma ormai tutti lo considerano colpevole. Solo la mamma e l’avvocato sfigato Watson Bryant, conosciuto tanti anni prima, credono in lui. Watson, con i suoi metodi poco ortodossi, riesce a ribaltare la situazione ma non senza danni collaterali: il vero Richard Jewell morirà a 44 anni stroncato da un arresto cardiaco e comunque con una reputazione mai riabilitata del tutto. La cosa più interessante del film, che si muove tra giallo e apologo sulla giustizia, è proprio il rapporto quasi paterno tra l’ingenuo Richard e il protettivo Watson, artefice dell’evoluzione di un personaggio che parte quasi respingente con le sue tante manie ma a cui Eastwood regala una tirata finale da applausi e una crescita umana esponenziale.
Nel cast primeggiano Sam Rockwell (Tre manifesti a Ebbing, Missouri) nei panni di Watson Bryant e la citata Kathy Bates, ma Paul Walter Hauser (Tonya) interpreta Richard Jewell con notevole pathos (oltre alla somiglianza fisica con l’originale, che pare abbia sconvolto la madre di Jewell).
Eastwood – con i suoi quattro Oscar per regia o miglior film – aggiunge un altro capitolo alla sua galleria di eroi e antieroi americani, con titoli come Sully e Ore 15:17. Attacco al treno. Con una regia che mette in luce le prove attoriali rinunciando a volte alla suspense (del resto lo spettatore già sa come andrà a finire), valorizza al massimo la sceneggiatura di Billy Ray, basata sull’articolo di Vanity Fair “American Nightmare — The Ballad of Richard Jewell” di Marie Brenner. Tra i produttori, oltre allo stesso Eastwood con la sua Malpaso, anche Leonardo DiCaprio.
Richard Jewell arriva in sala il 16 gennaio con Warner Bros. Pictures.
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