Ha ascendenze alte L’incredibile vita di Norman, il film di Joseph Cedar con Richard Gere protagonista nel ruolo decisamente inconsueto di un faccendiere ebreo newyorchese, una mezza tacca che fa di tutto per entrare nei circoli del potere sopportando umiliazioni e pedate, finché non punta su un cavallo vincente, un politico israeliano che diventerà primo ministro. E’ la sua grande occasione, ma vogliamo scommettere che la sua ingenuità (o forse la vocazione del buon samaritano) non trasformeranno questa opportunità in una catastrofe personale? Scritto e diretto da un regista israeliano di talento come Cedar (che ha già collezionato due candidature all’Oscar per Footnote e Beaufort), il film, in uscita il 28 settembre con Lucky Red, è interpretato anche dal bravo Lior Ashkenazi, insieme a Steve Buscemi e Charlotte Gainsbourg. “Mi sono ispirato alla storia classica dell’ebreo cortigiano – spiega Cedar – che fa un dono a un uomo che raggiungerà il potere in un suo momento di debolezza e diventa così il suo consigliere, ma si ritroverà vittima di invidie e ostilità e sarà cacciato dal palazzo”. Una narrazione che risale alla Bibbia e che troviamo incarnata non solo nello Shylock di Shakespeare ma anche in Leopold Bloom di Joyce. Per l’attore americano, che nella pellicola appare goffo e intristito, potrebbe essere un’occasione da Oscar: “Mi farebbe piacere ma solo perché mi aiuterebbe a fare i film indipendenti che amo fare”, commenta, durante la conferenza stampa romana. E sul tema dei migranti aggiunge: ”l’Italia ha dimostrato tutta la sua generosità nell’accoglierli, ma è un onere che non può essere solo sulle spalle degli italiani. E’ un compito che devono svolgere anche il resto d’Europa e l’America”. La cosa più grave ”sarebbe cedere per paura degli afflussi, ai nazionalismi. Finora in Europa solo la Germania, con Angela Merkel, seppur fra tante critiche, ha accettato milioni di rifugiati. Lei non si è fatta fermare e ha fatto bene”. Purtroppo, sottolinea, sono spesso gli estremismi a prevalere nel dibattito politico, come dimostra anche la questione israelo-palestinese: ”Il 67% degli israeliani vorrebbe la pace e così anche il 67% dei palestinesi, ma le frange estreme bloccano questo percorso”.
Norman Oppenheimer è un personaggio strano, petulante e invadente, non proprio affascinante.
Mi piace quando mi dicono che Norman è fastidioso, la reazione è la stessa in tutte le culture e i paesi. Vuol dire che ha una certa universalità e attualità.
Quale?
Il mondo contemporaneo è tutto basato sulle trattative e i compromessi, sugli scambi di favori e l’opportunismo, nessuno fa niente per niente. Non era così nelle comunità precedenti, nei villaggi dove ognuno conosceva il proprio ruolo e le persone erano tutte sulla stessa lunghezza d’onda. Oggi in America abbiamo un presidente che vive di compromessi fuori da ogni eticità, è la nostra immagine speculare e potrebbe esserci utile per migliorare.
Ma Norman ha anche un aspetto positivo che ci sorprende perché finisce per fare una scelta altruista.
E’ una combinazione di questi due aspetti: è un uomo che cerca il compromesso ma allo stesso tempo ha un cuore sincero. Non è un manipolatore puro, non fa del male agli altri, anzi vorrebbe renderli felici per poter avere un posto alla loro mensa, per non essere escluso.
Il rapporto tra Norman e il primo ministro si può definire un rapporto di amicizia?
Insieme hanno solo scena: con Lior Ashkenazi, l’attore che lo interpreta, abbiamo provato molto quella scena, quando Norman gli regala un paio di scarpe estremamente costose, quelle scarpe sono un simbolo importante. È un po’ come Cenerentola e per questo io mi metto in ginocchio per calzargliele, quando lui accetta quelle scarpe, accetta la relazione, in quel momento i due si innamorano, nasce la loro grande l’amicizia. Poi Norman lo rivede quando è diventato ministro e non è per niente sicuro che quello lo riconoscerà e gli stringerà la mano… La loro storia costituisce un viaggio mitico. Ma l’amicizia non può sopravvivere al compromesso, la pace in Medio Oriente viene prima.
Come avete lavorato sull’aspetto fisico di Norman?
Ho passato un’intera giornata a studiarlo con il regista, costumisti e truccatori, alla fine però decido sempre io. Joseph voleva cambiare il mio volto ed mi è venuta l’idea delle orecchie a sventola. Norman è il classico ebreo newyorchese dell’Upper West Side. Ne ho conosciuti molti quando vivevo a New York tanti anni fa.
Sembra che il mondo si basi esclusivamente sugli scambi di favori. Ci sono solo due personaggi che non cedono a questa lusinga, la moglie del ministro e la funzionaria dell’ambasciata, ma per gli altri è la cosa più normale.
Questi scambi si trovano in tutti i paesi e in tutti i settori, nel giornalismo, in politica, in economia, nello spettacolo. C’è un nucleo di persone che contano e ci sono quelli che cercano di trovare una porta aperta per avvicinarsi al potere. Norman è un personaggio universale, però, come ho detto, ha buon cuore, è un imbroglione, un bugiardo, probabilmente non ha mai avuto una moglie né una figlia e vive nello scantinato della sinagoga, ma è sincero. Questa grazia lo salva perché crede in quello che fa.
Si era già occupato di questo circolo ristretto di magnati e uomini di potere.
In un mio film precedente, La frode, interpretavo uno di loro, un uomo ricchissimo. E sapete una cosa? I soldi sono una cosa buffa perché dietro qualsiasi personaggio alla fine trovi un essere umano e tutti vogliono le stesse cose. I soldi, per queste persone, non contano in se stessi ma solo come modo per tenere il punteggio su chi vince e chi perde. Il fatto è che quando sei stato al vertice, quando hai preso l’abitudine di bere vini d’annata, non riesci più a scendere, a bere vino scadente. Ma la felicità nasce proprio dal comprendere che nulla è permanente, che tutto muta in ogni momento, anche nella stessa giornata.
Oren Moverman, con cui lei ha girato sia The Dinner che Gli invisibili, è tra i produttori di questo film. C’è un rapporto speciale che vi lega.
E’ uno dei miei migliori amici e adesso anche Cedar lo è diventato.
Lei ormai predilige il cinema indipendente.
Io credo di fare gli stessi film che ho sempre fatto fin dall’inizio, come I giorni del cielo di Malick che è tra i miei primi lavori. Certo, sono cambiato, ho 68 anni e i ruoli non sono più gli stessi. Semplicemente gli studios oggi non producono più quel tipo di film che io ho sempre fatto e allora bisogna accontentarsi di un budget piccolo, di 5 o 6 milioni di dollari, e girare in fretta.
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