Riccardo III: una vita da Orso d’oro


Riccardo III, James Whale, Gandalf… quale scegliere tra le tante identità di Ian McKellen, Orso alla carriera della 56/a Berlinale insieme al cineasta polacco Andrej Wajda. Riccardo III, forse, che il festival ha scelto di proiettare per onorarlo. “E’ giusto, è un film che considero un punto di svolta: l’ho scritto o almeno ho riorganizzato le parole di Shakespeare, l’ho prodotto, aspettando due anni per trovare i soldi, l’ho interpretato allo spasimo e mi ha portato tanti premi e uno straordinario affetto da parte del pubblico”. Shakespeare naturalmente è il punto fermo della sua storia, cominciata da bambino, sotto le bombe dei tedeschi con le prime prove d’attore amatoriali. Ora ha 67 anni ed è al lavoro, ancora una volta, sul Bardo: sarà Re Lear, il ruolo più difficile per l’attore scespiriamo, in teatro. Ma tornerà anche sul set, in Sudafrica, con una biografia di Cecil Rhodes, figura di spicco della conquista del continente africano allo sfruttamento occidentale e fondatore dell’attuale Zimbabwe. E lo vedremo anche nell’atteso Codice da Vinci in un ruolo da anima nera.

Con Berlino poi ha una lunga storia: qui è stato l’anno scorso in concorso con Asylum, ritratto di psichiatra non proprio distaccato, che muove le file di una vicenda di amore e follia raccontata da Patrick MacGrath. Mentre è affascinato dal fatto di tornare proprio nel ventennale del Teddy Bear, l’orso dell’orgoglio gay. Un orgoglio cui ha dato voce con Gods and Monsters. “Altro film che mi sta molto a cuore, è stato importantissimo per far capire alla gente che cosa vuol dire essere omosessuale”. Lui della sua identità sessuale non parlava neppure in famiglia fino al giorno in cui decise di fare outing in tv, nell’88, per contrastare la proposta di legge voluta da Margaret Thatcher che criminalizzava l’aperta dichiarazione di omosessualità.
Ma, ironia della sorte, fu proprio la Lady di Ferro a volerlo baronetto. “Fu una delle ultime carte che firmò prima di lasciare Downing Street. E ricordo che quando mi telefonò per darmi l’annuncio, pensai a uno scherzo, tanto da insultarla al telefono. Subito dopo mi sembrò persino di vederla turbata nei servizi del tg”.

L’ironia britannica lo rende simpatico, Sir Ian McKellen, erede ufficiale di Laurence Olivier che pure si permette incursioni nei grandi blockbuster fantasy, dalla trilogia del Signore degli anelli a X-men. “Gandalf, oltre alla mia seconda candidatura all’Oscar, mi ha dato una grande popolarità un po’ tardiva. Meglio così, perché diventare famosi da giovani è un male, si finisce per concentrarsi sulle reazioni degli altri anziché sul proprio lavoro”. Laureato a Cambridge e membro dell’esclusiva Royal Shakespeare Society, pensa che il segreto dello scrittore di Stratford on Avon sia la sua conoscenza della natura umana, valida a qualsiasi latitudine e in qualsiasi epoca. Ma il pensiero torna al suo essere gay. “Non fatevi ingannare dal successo di Brokeback Mountain – avverte – Hollywood è ancora molto arretratata e la sessualità di attrici e attori rimane un punto critico”. Infine una battuta sull’Orso alla carriera: “Mi suscita due pensieri: è bello essere celebrati da chi sa il fatto suo, ma un premio come questo ti dà sempre l’impressione di essere decrepito”.

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11 Febbraio 2006

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