La faccia di Renato De Maria sembra uscita da una tavola di Andrea Pazienza. O, meglio, è uno dei mille volti che le animano. Nulla di strano perché il regista ha conosciuto Pazienza alla fine del ’77 nell’appartamento di un palazzo occupato.
Del loro primo incontro ricorda: “Quando è entrato da quella porta, una folata di energia vitale si è abbattuta su di me”. Ed era così forte da spingerlo, a 25 anni di distanza, a portare sullo schermo i personaggi del visionario artista.
Ecco allora che nel film Paz! (sceneggiato da De Maria con Ivan Cotroneo e Francesco Piccolo e prodotto da Roberto e Matteo Levi per Tangram Film, Rai Cinema, Stream e Itc Movie) convivono, senza mai incrociarsi, Pentothal (Claudio Santamaria), Zanardi (Flavio Pistilli) e Fiabeschi (Max Mazzotta).
Attorno a loro la Bologna del ’77, quella di Radio Alice, della sovversione creativa della politica, della vita e dei linguaggi. Quella vissuta e raccontata da Andrea Pazienza.
Non era facile dare un volto ai personaggi di Pazienza. Come hai scelto gli interpreti?
Li ho scelti per le loro facce “pazienziane” e per la loro vitalità. Volevo attori che, oltre a calarsi nel mondo di Pazienza, fossero anche in grado di aggiungervi qualcosa di personale. Del resto questa è l’idea guida del film: non rimanere prigionieri della grandezza di Paz ma metterci del nostro per rilanciarla.
Che cosa vuoi trasmettere con Paz!?
Le tavole di Pazienza raccontano la Bologna degli anni ’70 con distacco e ironia. Raccontano un’intera generazione che dopo il ’77 è diventata invisibile come mostra Nanni Balestrini nel suo romanzo. Ma nelle opere di Andrea c’era anche qualcosa di universale: la giovinezza come momento di curiosità e sperimentazione. Il film vuole metter in scena sia questo atteggiamento poetico verso la vita che far conoscere una grande autore, ma senza nostalgia. Non è un film d’epoca, ma un film di fantascienza: proiettato indifferentemente nel futuro e nel passato.
Come hai lavorato per trasporre in cinema l’atmosfera della tavole di Pazienza?
In modo assolutamente rigoroso. Tutte le scene sono ispirate a vignette di Andrea, soprattutto i dialoghi sono stati riportati fedelmente. Ho girato in digitale con la Sony 150 e per ogni personaggio è stato fatto un enorme lavoro sulla scenografia e sulle luci. Ad ognuno corrispondono delle precise tonalità cromatiche: per Zanardi, il più anni ’80 dei tre, c’è il verde acido; Pentothal, che più di tutti esprime il passaggio al ’77, è caratterizzato dal bianco e nero; mentre Fiabeschi, l’anima rock del film, è accostato al blu.
Pentothal e Zanardi sono delle vere e proprie icone pop, mentre Fiabeschi è molto meno definito. Come l’hai ricostruito?
Si, Fiabeschi è un personaggio minore che appare solo in Giorno, una storia di Zanardi, mentre attorno agli altri due Pazienza ha costruito un universo narrativo compatto. Per metterlo in scena ho ricostruito il prototipo dello studente fuorisede e fuoricorso, usando vignette singole, storie brevi di Andrea apparse sul “Male” e “Frigidaire”.
Nel film si vede la crisi del maschile di fronte a donne tostissime…
Sì. Mi sono divertito a mostrare donne al massimo della potenza e uomini pieni di conflitti irrisolti. Negli anni ’70 il femminismo era l’unica rivoluzione davvero vincente e nel lavoro di Pazienza le figure femminili sono spesso i momenti narrativi più alti.
Qual è il target del film?
Una delle scommesse principali è uscire dall’ambito dei fan e arrivare anche al pubblico che non conosce Pazienza. Forse alcuni tra i suoi cultori saranno prevenuti, ma spero che si ricredano dopo la visione.
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