TORINO – Per molti, anche tra gli addetti ai lavori, Pasinetti è il nome di una piccola sala di proiezione nel piano interrato del Palazzo del cinema o quello di un Premio che viene assegnato ogni anno a Venezia dal Sngci. Ma Francesco Pasinetti è molto altro: un pioniere della critica, uno dei primi a prendere sul serio il cinema come arte, un documentarista che ha raccontato non solo la sua Venezia, ma la modernità e la società degli anni ’30 e ’40, in una carriera intensa per quanto breve che avrebbe potuto portarlo chissà dove se non fosse morto a 38 anni appena. “La sua figura è stata rimossa da più generazioni, quando ne parlavo agli allievi del CSC, mi guardavano allibiti”, ha spiegato Gianni Amelio. Dal 2011, centenario della nascita, si susseguono per fortuna le iniziative che ce lo fanno conoscere. Tra queste la pubblicazione di un cofanetto distribuito da Istituto Luce Cinecittà (a cura di Comitato regionale per le celebrazioni della nascita di Francesco Pasinetti, Regione del Veneto, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Archivio Carlo Montanaro e Banco San Marco), presentato al TFF.
Nel cofanetto diciannove film restaurati digitalmente grazie a Archivio storico Luce, Cineteca Italiana di Milano e Cineteca Nazionale, insieme al volume “La scoperta del cinema”, nella nuova edizione curata da Maurizio Reberschak, con la prima, storica tesi di laurea sul cinema – sintetizza Edoardo Ceccuti: “con Pasinetti il cinema si laureava” – e un ricco apparato di testi, mentre tra gli extra c’è la partitura scritta da Malipiero per Il giorno della salute, film andato perduto.
A introdurre al pubblico del festival la visione di tre suoi cortometraggi (Lumiei, Città bianca e Latte per la città ) e del suo unico film di finzione, Il canale degli angeli, del 1934, è Carlo Montanaro, lo studioso che più si è dedicato a ricostruirne la parabola umana e artistica, affascinato da questa figura rinascimentale, con interessi che spaziavano dal cinema alla lirica, dal teatro alla radio. “E’ stata una meteora, a causa della sua morte improvvisa e prematura. Qui ne abbiamo ricostruito il percorso, a parte tre film andati perduti, tra cui Piazza Navona, girato a Roma”, dice Montanaro. Che racconta come già negli anni ’70 fosse saltata fuori qualche copia in nitrato, altamente infiammabile. “A Conegliano mostrammo Il canale degli angeli, che la Cineteca italiana di Milano, che lui aveva contribuito a fondare, ci consegnò, ma ho dovuto proiettarlo io perché il proiezionista aveva paura”. E non aveva tutti i torti, se è vero che la casa veneziana di Pasinetti andò a fuoco proprio a causa di queste pellicole. “Conteneva oggetti di grande valore, i quadri del nonno materno Guglielmo Ciardi, grande vedutista ottocentesco, commedie di Goldoni, incisioni del Cinquecento. Pasinetti aveva in animo di scrivere, oltre alla storia del cinema del ’39 che fu la prima mai apparsa in Italia, anche una storia della poesia e della grafica”.
Tra i suoi lavori, fortemente ancorati alla realtà, tanto da farlo considerare un precursore del neorealismo, Città bianca (1942) è una visita all’ospedale Forlanini di Roma, tra i malati di tisi curati in una struttura modello; Lumiei (1948) documenta la costruzione di una centrale idroelettrica, Latte per la città (1949) mostra tutto il processo di pastorizzazione, dalla raccolta nelle fattorie alla vendita. Il tono, con la voce fuori campo, è spesso quello dei cinegiornali del ventennio, ma le immagini sono di folgorante verità. “Predisponeva tre macchine da presa – spiega ancora Montanaro – per cogliere ogni aspetto. Oggi si possono fare le riprese con un cellulare, ma allora le bobine si esaurivano”. E anche nel narrativo Il canale degli angeli, storia di un bambino che osserva la mamma, attratta da un altro uomo, tradire il padre, è fortemente presente la rappresentazione della città lagunare con lo scavo di un nuovo canale dragato da macchinari che Pasinetti coglie con accuratezza e che, si capisce bene, lo affascinano nei loro meccanismi.
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