Quando la guerra entrò negli studios di Cinecittà


BARI. Anteprima italiana, dopo quella internazionale a New York, per il documentario Profughi a Cinecittà diretto da Marco Bertozzi e prodotto Cinecittà Luce e Vivo film, con il patrocinio di UNHCR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in collaborazione con Cinecittà Studios e Roma Lazio Film Commission, con il sostegno dellla DG Cinema-MiBAC
Il documentario di Bertozzi – suo era Predappio in luce in concorso al Film Festival di Roma e vincitore dell’Art Film Festival di Asolo – ricostruisce una fase poco conosciuta della storia dei famosi studios di via Tuscolana, che va dal secondo conflitto mondiale al dopoguerra e agli anni della ricostruzione, cioè dalla fine del 1943 al 1950.
Del resto la studiosa americana di cinema Noa Steimatsky, che ha scritto insieme al regista Bertozzi il documentario, ha ricevuto in passato il Roma Prize proprio per una ricerca su Cinecittà campo profughi con l’American Academy, “The Cinecittà Refugee Camp 1944-1950”, pubblicata nel 2008 in due parti sulla rivista “Bianco e Nero”.

 

Il film ricostruisce l’insolita trasformazione subita dalla famosa ‘città del cinema’ attingendo al prezioso patrimonio dell’Archivio Luce, e alle immagini del film Umanità diretto nel 1946 dal regista Jack Salvatori, nome d’arte di Giovanni Salvatori-Manners, che vede protagonista un medico americano impegnato nell’assistenza degli abitanti di un campo profughi proprio a Cinecittà. Ci sono anche materiali provenienti dalle Settimane Incom e dall’Archivio Nara di New York, insieme a frammenti di due film in costume Quo Vadis? (1913) di Enrico Guazzoni e di Quo Vadis (1951) di Mervyn LeRoy, quest’ultimo utilizzò come comparse proprio alcuni ‘abitanti’ di Cinecittà. 

Dopo essere stati utilizzati come campo di detenzione per novecento uomini rastrellati, il 16 ottobre 1943, nel quartiere del Quadraro, gli Studios vengono razziati dai nazisti e 16 vagoni merci carichi di attrezzature cinematografiche partono da Roma con destinazione Germania e Repubblica di Salò. Nel gennaio del 1944 i teatri di posa vengono bombardati dagli Alleati e il 6 giugno 1944 la ‘città del cinema’ viene requisita dall’Allied Control Commission per garantire l’ospitalità di migliaia di rifugiati creati dalla guerra.
Sorge così, tragica ironia della Storia e del destino, in quella che era stata una creazione e un vanto del regime fascista, un campo di profughi, vittime dell’insensata avventura di guerra di Mussolini a fianco di Hitler.

Da una parte i senzatetto italiani, dall’altra, rigidamente separato, un campo internazionale, ma tutti i temporanei abitanti uniti dalle sofferenze patite e dalle provvisorie condizioni di vita. Più di 5mila persone vi transitano tra le quali i figli dei coloni italiani in Libia, gli esuli giuliano-dalmati, gli sfollati dai bombardamenti di Monte Cassino e di Roma, molti ebrei internati e rientrati dai campi di concentramento.

 

Alle immagini di ieri del mitico Teatro 5, amato da Fellini, interamente occupato da tante improvvisate mini stanze, separate l’una dall’altra da sottili pareti di cartone e legno, si alternano le testimonianze, raccolte oggi, di alcuni anziani che ricordano con intensità e commozione quella loro incerta stagione di vita. Tra i corridoi di Cinecittà e le scenografie superstiti di film del passato affiorano forti e vivi i loro ricordi di una pagina sconosciuta ai più.
Una vicenda che si conclude all’inizio del 1950 quando l’allora sottosegretario democristiano Giulio Andreotti con la sua visita a Cinecittà sancisce la la rinascita dei teatri di posa che di lì a poco daranno vita all’Hollywood sul Tevere.

 

Profughi a Cinecittà sarà presentato il 14 aprile nell’ambito del San Diego Italiana film Festival e il 19 aprile a New York presso l’Hunter College University. Inoltre è annunciata l’uscita con Donzelli di un volume che narra l’intera vicenda. 

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