Pupi Avati: “La paura stimola la fantasia”

Il regista ha tenuto una masterclass a Venezia 81, 24 ore prima dell’anteprima del suo 'L’orto americano', film di chiusura della kermesse


VENEZIA – “Ho la necessità di dilatare la realtà, non mi basta mai. La realtà è scadente, anche nella sua imprevedibilità. Quello che si può immaginare impunemente può essere qualcosa che allarga i confini della vita”. A 24 ore dall’anteprima ufficiale del suo L’orto americano, film di chiusura di Venezia 81, Pupi Avati ha intrattenuto – con la consueta brillantezza e ironia – per oltre un’ora gli accreditati del festival, in una masterclass a lui dedicata.

“Il cinema ti dà questa opportunità di rendere credibile l’inverosimile. Il film che vedrete è un thriller gotico. – racconta il regista 85enne – Mi auguro che il pubblico si identifichi nel protagonista, un ragazzo che nella prima parte del film fa scelte condivisibili. Poi, però, accadono cose inverosimili: io spero che il pubblico ci creda, che si spaventi. Nella mia carriera ci sono tanti finali improbabili ma terrificanti”.

Tra questi finali c’è certamente La casa dalle finestre che ridono, uno dei più celebri film del regista, che però ha una genesi particolare, essendo nato dalle macerie del fallimento di Bordella, film che venne censurato dalla critica. “Venimmo tutti condannati per oscenità. – ricorda Avati – In ritorno dal viaggio, in quella dolorosissima giornata, proposi di reagire: di fare il film più economico dell’anno. Con 150 milioni facemmo questo film, eravamo in 12 e ognuno faceva 2-3 ruoli diversi. Ci siamo divertiti tantissimo e il film è ancora vivo, 50 anni dopo. Questo tipo di cinema è il più bello. Hai la macchina da presa vicina, siete poche persone con l’idea di sfidare il mondo. Anche L’orto americano è il film più economico presentato quest’anno alla Mostra”.

Ma come nascono le sue idee? “Buddha diceva che l’origine delle cose non si percepisce mai: è come una ragazza che va ogni sera con un ragazzo diverso, a fine mese scopre di essere incinta e non sa chi sia il padre. Avere un’idea è così: è come essere fecondati da qualcosa di misterioso. E mentre la pensi, l’idea si dilata, si aggregano emozioni. Poi lo racconti a un fratello, a una figlia e ti rendi conto tu stesso se sta in piedi. Fino a quando non inizi a scrivere e magari diventa qualcosa di completamente diverso”.

“I film di genere son la base della proposta cinematografica, noi eravamo maestri e improvvisamente sono scomparsi. – continua il regista – Ormai ogni autore italiano è diventato il genere di se stesso: Moretti fa i film di Moreti e via dicendo. Secondo me è sbagliato, la gente paga perché vuole sapere quale emozioni proverà, lo vuole garantito. Nella nostra schizzinosità abbiamo smesso di considerare i film di genere come film d’autore”.

Tra tutti i generi, Avati è di certo un esponente del cinema dell’orrore. Qualcosa di strettamente legato alla sua formazione. “Quando si forma un essere umano? Nei primi anni di vita. Io sono cresciuto nella cultura contadina. Gli strumenti didattici erano la favola contadina, un deterrente per tenere calmi i bambini, spaventandoli; e la religione, che era terrificante. Dal pulpito il prete parlava di diavolo, di inferno e ci terrorizzava. La paura è un elemento che stimola la fantasia, la fa crescere. Una persona spaventata è la persona più presente a se stessa”.

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06 Settembre 2024

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