Esce il 29 settembre con 01 il Dante di Pupi Avati, che il regista considera particolarmente importante. Alla base c’è il suo libro sul Sommo Poeta, ‘L’alta fantasia’, edito da Solferino.
Il film è prodotto da Antonio Avati per Duea Film con Rai Cinema e M.G. Production.
“Nei miei tanti film ho raccontato quanto possa essere eccezionale, addirittura eroica, la normalità degli esseri umani – dice – Ora invece ho cercato di dire che, per quanto sublime, il genio, condivide, come farebbe ognuno di noi, le angustie che ci riserva la vita. Poter narrare Dante Alighieri per la sua umanità , è stato quel dono che attendevo da vent’anni ”
Dante muore in esilio a Ravenna nel 1321.
La difficoltà di raccontare la sua complessa vicenda umana e artistica viene affrontata da Avati tramite un originale “uovo di Colombo”: dare voce al suo biografo, Giovanni Boccaccio. Nel settembre 1350 Boccaccio viene incaricato di portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico a Suor Beatrice, figlia di Dante, monaca a Ravenna nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi.
Nel suo lungo viaggio Boccaccio oltre alla figlia incontrerà chi, negli ultimi anni dell’esilio ravennate, diede riparo e offrì accoglienza al sommo poeta e chi, al contrario, lo respinse e lo mise in fuga. Ripercorrendo da Firenze a Ravenna una parte di quello che fu il tragitto di Dante, sostando negli stessi conventi, negli stessi borghi, negli stessi castelli, nello spalancarsi delle stesse biblioteche, nelle domande che pone e nelle risposte che ottiene, Boccaccio ricostruisce la vicenda umana di Dante, fino a poterci narrare la sua intera storia.
E’ dunque un film sul viaggio, un road movie dell’anima, interpretato, tra gli altri, da Sergio Castellitto (Boccaccio), Alessandro Sperduti (Dante) e Carlotta Gamba (Beatrice).
“Con questo film – continua Avati – ho un rapporto antico, un senso di inadempienza che tutti dovremmo avere nei confronti di Dante, spesso celebrato in maniera pompieristica e militante ma poco umana e calorosa. Io penso che Dante non vada allontanato, va piuttosto avvicinato. Ai miei tempi la scuola ci trasmetteva proprio questo senso di inadeguatezza nei suoi riguardi, che ce lo faceva odiare, sia umanamente che esteticamente. Perfino la sua iconografia era sgradevole. Solo tardivamente ho scoperto la ‘Vita Nova’ e ho pensato che Dante meritasse di essere risarcito. La sua opera come tutti i classici andrebbe letta da autodidatta. I ragazzi, prima o poi, sono tutti capaci di poesia, capita a tutti nella vita. Tutti siamo capaci prima o poi del ‘per sempre’. Questa locuzione ormai non la usano nemmeno i cantautori. A quante ragazze bolognesi ho detto ‘per sempre’, a quanti amici, a quanti momenti meravigliosi della mia vita… perfino su un palco con una Jazz band. Questa è l’idea del tempo del poeta. La colonna sonora del film non è la musica ma sono i versi di Dante, che ancora dopo Settecento anni ti emozionano e ti danno i brividi. L’amicizia tra Cavalcanti e Dante è la stessa che sta dietro a quella del ‘Bar Margherita’. Si fanno troppi pochi film di poesia. Questo è anche una summa del nostro cinema”.
Castellitto specifica invece: “Io ‘per sempre’ lo dico spesso. ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura’: è un verso psichiatrico. Questo muove il mio interesse. Dante è irraccontabile, nessuno ha mai osato fare un film sulla Divina Commedia. Costerebbe molto, e Rai Cinema avrebbe anche i mezzi, ma è l’unico poema la cui parola fluviale resta parola, puoi solo leggerla, impararla a memoria o riviverla. La trovata narrativa che Pupi ha usato è stato passare per il viaggio di un altro gigante, Boccaccio, che compie un gesto di sconfinata umiltà e amore filiale, ma è un sentimento granitico, tutt’altro che sottomesso. Ci vuole carattere per chinare la testa di fronte a chi è più grande di te. Noi conosciamo il Dante del naso aquilino, della corona d’alloro, del profilo professorale. Ma Dante è altro: un esiliato, un innamorato che perde l’amore, che fa la guerra, che ha ucciso delle persone. Tutti nella vita siamo stati esiliati da qualcosa. La depressione è il buio della mente, la selva oscura. Ma il poeta fa sì che tutta la fragilità della sua esistenza si ricompone nell’opera, così straordinaria. Solo i poeti ci possono salvare, nella loro modernità. Sono minatori che si infilano in un buco nero e tirano fuori la pepita d’oro. Sono i veri benefattori. Il mio Boccaccio pensa a Dante sempre come un ragazzo: l’artista, se non resta ragazzo, muore. Questa è la differenza tra maestri e professori. Ma ormai ci sono sempre meno maestri, solo esperti del settore”.
Avati parla anche del metodo “nuovo” con cui si è approcciato al lavoro con Castellitto: “senza provare! Lo consiglio a tutti i colleghi, soprattutto quando si ha grande sintonia con l’attore”. Così sono nate tante scene fantastiche come quando Boccaccio si asciuga gli occhi, commosso, in una lettera. L’elemento esoterico invece è la bambola nuziale di Beatrice. Boccaccio non sa, mentre la porta a sua figlia, che è appartenuta a lei. E’ quello che lega il film anche a una certa tradizione gotica”.
“Nemmeno io sentivo Dante così vicino – racconta Sperduti – mi sembrava un universo sconfinato, ma Pupi mi ha accompagnato spiegandomi che dovevo concentrarmi sulla sua umanità. Leggevo la Divina Commedia e la Vita Nova, e mi ci ritrovavo. Era un ragazzo della mia età, con difficoltà nell’approccio con gli altri. L’istruzione non di dà queste informazioni – Questa è la caratteristica rivoluzionaria di questo film. Non si ha paura di mostrare la sensibilità del poeta, come artista non aveva limiti, tantomeno nel mostrare la sua fragilità. Dante non aveva limiti, anche per la sua ambizione, metteva a disposizione di tutti tutto sé stesso, e questo mi ha fatto riflettere su cosa ‘essere sé stessi’, cosa che va di moda oggi, significhi. Di tutte le scene lavorate la più emozionante per me è quella dell’incontro con Beatrice. Tutti abbiamo immaginato quell’incontro. Lo vedevo da dentro e da fuori al contempo, una sorta di schizofrenia. Uno sguardo che lascia senza parole, che racchiude tutto: eravamo due ragazzi che si stanno innamorando e al contempo qualcosa di più grande ci pervadeva”.
Conferma Carlotta Gamba: “Sono una novizia, ma guardando e lavorando al film ho capito quanto sia importante continuare a illudersi, a ‘immaginare’. Anche Beatrice aveva bisogno di una dignità. Negli studi è lontana, eterea, immaginifica, mentre Pupi l’ha resa concreta e reale, bellissima da interpretare”.
Castellitto insiste sul tema del ‘corpo’: “Boccaccio fa un viaggio faticosissimo, ha la scabbia, ha fame, sente il tanfo dei cadaveri e della peste, incontra una figlia legittima che lo rifiuta, eppure continua a pensare. Pupi mescola gli attori presi dalla strada, in stile neorealista, con grandi attori, e questo infonde ai film una trama pasoliniana. Nel film vediamo dei ragazzini che giocano e scherzano, sembrano figli di immigrati. In questo senso il film di Pupi è classico ma molto sorprendente, dal punto di vista della composizione delle immagini. Racconta al contempo claustrofobia e sterminatezza di quell’epoca. Non è un film da vedere solo nelle scuole, ma da vedere e basta”.
Il film è stato girato in parte in interni a Cinecittà, e in esterni in Umbria ed Emilia Romagna, e usa alcuni effetti speciali del maestro Sergio Stivaletti, che nutre la nota anima ‘horror’ di Avati in qualche sequenza onirica o di guerra.
Immancabile la dedica al compianto Gianni Cavina, interprete di molte pellicole di Avati, qui al suo ultimo film.
Chiuda Paolo Del Brocco per Rai Cinema: “Oltre alla sala, il film lo vedranno in milioni. E’ il coronamento di un sogno di un grande regista e un grande produttore, ma anche un’opera di servizio pubblico”.
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