Si apre sulle suggestive note di ‘Città Vuota’ di Mina il film Un divano a Tunisi di Manele Labidi, storia di una psicanalista trentacinquenne che lascia Parigi per aprire uno studio nella periferia di Tunisi, dov’è cresciuta. E’ una missione la sua: analizzare i connazionali e rimetterli in sesto dopo la rivoluzione, ma non ha fatto i conti con la diffidenza del luogo, l’amministrazione decisamente poco collaborativa e addirittura uno zelante poliziotto che ha deciso di metterle i bastoni tra le ruote.
A Tunisi ci si confessa nelle vasche dell’hammam o al massimo dal parrucchiere, ma piano piano la terza via proposta da Selma comincia a prendere piede. Il tutto affrontato con leggerezza. Labidi comprende tutto il potenziale comico della situazione e la dimensione assurda di una società schizofrenica che rifiuta un aiuto psicologico.
“L’idea per questo film – dice la regista – mi è venuta il giorno in cui ho detto a mia madre che ero in analisi. Ho avuto paura che morisse. Come hai osato? Dopo tutti i sacrifici che ho fatto per te? Come giustifichi di aver scelto di partecipare attivamente alla demolizione della tua cultura, della tua famiglia? Di uccidere tuo padre? Tua madre? Edipo? Ma come, vuoi liberarti del peso di tutta la tua vita raccontandola ad un estraneo? Come caspita potrebbe esserti di qualche aiuto? Quanto costa? In contanti? Preoccupazioni di ordine economico, sentimenti di tradimento, paura, stupore, delusione… Per una donna tunisina, musulmana e tradizionalista come mia madre, era decisamente troppo. Quel giorno ha fatto nascere in me il desiderio di osservare più da vicino la Tunisia, dove vive ancora gran parte della mia famiglia, e di ambientare lì il mio film. Per me Selma è un mezzo per esplorare il rapporto ambiguo che ho con questo paese che penso di conoscere, di cui parlo la lingua e di cui conosco bene le consuetudini, ma con cui spesso non mi sento in sintonia. Rompendo con la tradizione, le mie scelte personali e professionali hanno confermato alla mia famiglia tunisina l’impressione che ha sempre avuto di me: quella di una donna strana e atipica, pazza agli occhi di alcuni, stravagante e scandalosa agli occhi di altri. È questo il motivo per cui racconto questa storia da un punto di vista personale, attraverso la lente di una doppia cultura, francese e tunisina”.
In sala con BIM dall’8 ottobre.
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