C’è una involontaria suggestione salgariana nel guardare all’aspetto più nuovo della partecipazione italiana alla prossima Mostra di Venezia: sembra di vedere un affiatato gruppo di Tigrotti di Mompracem dare l’assalto alla fortezza del Leopardo di Sarawak che per l’occasione, e non se ne abbia a male, ha le fattezze del presidente della Biennale, Baratta.
A Barbera è più giusto lasciare i panni di un valoroso ufficiale britannico, inappuntabile controllore di questa pacifica e vitale rivoluzione.
Fuor di metafora – del tutto scherzosa – è che la molto attesa e molto coccolata nuova generazione di produttori scopre le carte, si mostra in gruppo, firma la novità più significativa, almeno sulla carta, del prossimo cartellone veneziano.
Sono una decina e sono presenti in tutte le sezioni, con film italiani e con film stranieri, con opere sperimentali e progetti ambiziosi, con grandi storie e micro-realtà che danno un colore nuovo all’Italia che cambia. Naturalmente ce ne sarebbero di più poiché il programma dà spazio a mille storie e vicende produttive diverse e naturalmente questo “partito dei produttori” ha un capo carismatico addirittura nel “capo” della Mostra, ovvero il presidente della giuria, Nanni Moretti con la Sacher Film (debitamente omaggiata dal direttore nella sezione “Nuovi territori”).
I produttori a cui pensiamo hanno l’età e le sembianze di Tilde Corsi (dietro al film di Gitai) e Domenico Procacci (artefice di Dust); di Lionello Cerri con Albachiara (film di Giuseppe Piccioni in concorso 58) e della Navert di Massimo Cortesi (due film di casa Bertolucci); di Amedeo Pagani (anche per lui due film tra Bechis e Marra) e Andrea Di Liberato (il film di Capuano). E poi c’è l’abbonato ai premi Marco Muller di Fabrica Cinema (un film iraniano) e c’è la Cattleya di Riccardo Tozzi (schiera a sorpresa Paskaljevic ma ha in cantiere il grande cinema italiano). E dovremmo continuare con la Key Films, la Lucky Red, i Teatri Uniti, e ancora ne trascuriamo.
Più interessante notare cos’hanno in comune tutti questi aggressivi quarantenni o giù di lì: amano il cinema, hanno sognato il bel cinema, si sporcano le mani con la ricerca dei finanziamenti a non rinunciano a dialogare con gli autori a leggere le sceneggiature (anche di sconosciuti), a inventarsi nuovi mestieri (dalla distribuzione all’esercizio, all’editoria). Sono competenti senza essere arroganti, la platea internazionale li conosce bene e li apprezza, si stimano e si rispettano, si consultano…
In realtà arrivano a Venezia come punta di diamante di un gruppo più folto che sta cambiando il cinema italiano fin dalle radici in una rivoluzione silenziosa che finalmente vede gli autori nel ruolo dialettico di partners e non di oppositori o compiacenti esecutori. Tutto bello, tutto felice?
Improbabile: rivalità, concorrenza, idee diverse stanno dietro l’angolo. Ma non era un bel tempo quello in cui i Ponti e i Cristaldi si combattevano con le armi della bravura e dell’inventiva? Vediamo se la primavera del cinema italiano avrà i loro blasoni e porterà il loro segno. Sugli autori possiamo scommettere, sui nuovi produttori saranno il pubblico e il mercato a dire la loro.
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