TORINO – La finale della Coppa Davis a Santiago del Cile. Questioni di tennis e questioni politiche, “meglio rinunciare alla Coppa, che avere qualcosa da spartire con il regime di Pinochet”, una delle linee del tempo.
Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli: la squadra, che tra 1976 e l’ ’80 arriva in finale per quattro volte, vittoriosa il primo anno. Una squadra trionfante, divisa intrinsecamente – da una parte “gli scapoli” Bertolucci e Panatta, dall’altra, gli altri, quelli “più posati” -, e osteggiata dal proprio Paese: una storia (vera) in cui “gioca” soprattutto/anche la leggenda Nicola Pietrangeli, nelle prime due edizioni della Davis, ‘76 e ‘77, capitano non giocatore, ritiratosi dall’agonismo da pochi anni. Pietrangeli, da protagonista sulla terra rossa, era stato dapprima finalista nel 1960 e ‘61: in questa storia, quella di questa squadra “cilena”, verrà esonerato dalla stessa dopo la sconfitta australiana, 1977.
Uno Speciale (non uno degli episodi) di 74 minuti arriva al Torino Film Festival: sono scene tratte dalla docuserie Una squadra (6 episodi), scritta da Domenico Procacci, Lucio Biancatelli e Sandro Veronesi, prodotta da Fandango, co-prodotta da Luce Cinecittà, con anche materiali storici dall’Archivio. In questa occasione “portiamo alcune scene tratte da puntate differenti; siamo ancora in una fase di lavorazione, con l’idea di andare in onda su Sky verso maggio 2022. Non è una serie sulla Davis del ’76, ma arrivare quattro volte in finale in cinque anni dimostra che non si trattasse di un exploit ma della squadra più forte del mondo e ho pensato fosse bello raccontare tutte le finali e quello successo intorno, raccontando personaggi interessanti anche dal punto di vista cinematografico, come a riconoscere degli archetipi del Cinema italiano, da Manfredi ad Aldo Fabrizi. È un doc in cui – anche molto giocando di montaggio – abbiamo costruito i loro episodi in maniera il più possibile cinematografica”, spiega Domenico Procacci.
Una struttura classica di racconto: la contemporaneità dei protagonisti del tempo e l’archivio sportivo e mediatico di quello stesso tempo, per restituire sia la Storia che l’eternità di quella storia, ancora vivissima nell’oggi, tante furono l’eco e la scia che la questione – appunto, non solo tennistica – si portava dietro. “L’idea è nata perché ho un grande interesse per gli Anni ’70, anche terribili ma molto interessanti da raccontare. Ho parallelamente una passione per il tennis, pur non essendo un buon giocatore, e qui ho cercato di coniugarle: è una storia sportiva, questa, che copre tutto il decennio con anche le loro vicende personali; ho conosciuto questa storia studiandola, e m’è capito poi di conoscere i giocatori, prima Panatta, per amici in comune, e quando hai dei bei personaggi meritano di essere raccontati. È sono loro che raccontano, non una persona esterna”, dice ancora l’autore-produttore di Fandango. “Per me è meno interessante raccontare un presente che è in divenire: è chiaramente tutto diverso. È bello che l’Italia oggi possa di nuovo sperare di vincere la Coppa Davis, ma è vero che questa squadra l’ha vinta ed era quantomeno una cosa diversa. Questa formula, è vero, forse potrebbe cambiar nome, ma tutto questo è interessante da spettatore, però non lavorerei ad un progetto sulle differenze della Coppa del tempo e quella attuale”.
“La finale comincia – si può dire – nel mese di novembre ’76. È stato un mese che ricordo con grande orgoglio”, racconta il Capitano: “Nicola, in quel periodo di polemiche molto aspre, è stato molto importante … perché fece veramente una ‘campagna elettorale’ pazzesca … s’è sempre battuto per la trasferta, ma tutti noi eravamo d’accordo”, si susseguono le testimonianze di Barazzutti, Bertolucci, Panatta. “Poi esporteremo sicuramente automobili, perché proprio Panatta non lo vogliamo esportare?”, si chiede un Ugo Tognazzi in bianco e nero, tra le immagini di Giulio Andreotti, “il Presidente” contrario alla partenza, le bandiere sventolanti in comizio del PCI e anche “Modugno addirittura scrisse una canzone che ci prendeva in giro”, rammenta Barazzutti. Il pericolo che la campagna “contro” finisse per rafforzare Pinochet impose una rapida modifica di rotta, rimosse ogni ostacolo alla partenza della squadra italiana, recita lo Speciale: “Io non mi sono mai preso il merito sportivo, ma non voglio dividere con nessuno il fatto di averli portati in Cile, quello non lo divido con nessuno!”, le parole sicure di Pietrangeli nella serie, e che dal vivo a Torino continua: “Credo ci sia un’importantissima voglia di conoscere le vere verità, ma quali sono? Ci ne saranno – oltre a quelle di noi cinque – ancora altre due o tre. Questa è una storia bellissima, inutile dire’ irripetibili’: se dopo 45 anni ancora nessuno c’è riuscito qualcosa significa, con tutta una complessa parte politica e una sportiva. Certo, al ritorno sembravamo ladri che avessero rubato le caramelle a qualche bambino”, ricorda.
“Ci siamo divertiti” a fare questa serie. “C’era un’atmosfera simpatica. Siamo riusciti a raccontare un periodo della nostra vita in maniera un po’ disincantata, senza quelle cose – che io odio, profondamente – ‘ai nostri tempi’, ‘quando c’eravamo noi’, perché era una storia diversa, c’era una grande unione e una diversità di caratteri, con tanti aneddoti, che a me sono tornati alla memoria, che ho rivissuto anche con tenerezza, ormai siamo tutti quanti grandi. Soprattutto, mi son divertito e credo che Procacci possa fare anche due docuserie, quello che vedrete e i fuori onda, in certi momenti esilaranti, per cui io l’ho ‘minacciato di morte’, ovviamente scherzo! È stato un periodo di grande gioia quell’anno, un percorso fatto noi quattro insieme, con Nicola capitano, sempre insieme: purtroppo, non abbiamo mai giocato una finale in Italia, la soddisfazione di una Coppa Davis qui non è accaduta, e l’unica vinta ci ha fatti accogliere come reietti e persone poco gradite, così ringrazio Domenico che dopo 45 anni ci rende onore, seppur andasse bene anche prima, ma Procacci ha fatto qualcosa di irripetibile, come ha raccontato lui nessuno l’aveva mai fatto”, commenta Panatta.
“La Coppa Davis è stata comprata da una società, la Cosmos, che l’ha fatta diventare un campionato di calcio, non ha più niente a che vedere con la vecchia formula: il denaro, la spinta della tv che vogliono uno spettacolo più breve, stanno condizionando un pochino il tennis e la Davis ne ha sofferto in modo particolare, è stata smantellata, come se uno slam venisse giocato, 2 su 3, in una settimana, così la Davis è diventata un piccolo torneo” per Corrado Barazzutti.
“La Coppa Davis secondo me è morta un paio di anni fa, quando ha cambiato la formula e la squadra italiana avrebbe ancor più efficacia se giocasse secondo la vecchia formula”, chiosa Paolo Bertolucci.
I dati dell’edizione 2021 contano 32.900 presenze (48.628 visioni online nel 2020; 61.000 presenze nel 2019), 1.678 accreditati stampa e professionali/industry (1.128 nel 2020; 2.090 nel 2019), 21.663 biglietti venduti (18.402 nel 2020; 26.165 nel 2019) e 106.116 euro di incasso (103.083 euro nel 2020; 234.000 euro nel 2019)
In questa intervista con Cineuropa, il regista turco vincitore del 39° Festival di Torino racconta come ha lavorato a Between two Dawns, in cui affronta un incidente sul lavoro e le sue conseguenze morali e giuridiche nell'arco di 24 ore
La cerimonia di chiusura della 39ma edizione del Torino Film Festival. Miglior Film il turco Between two Dawns, doppietta per la produzione USA/Spagna di Amalia Ulman, anche Premio FIPRESCI. Quattro i riconoscimenti per opere italiane
I premi collaterali del 39° Torino Film Festival. Il Premio Rai Cinema Channel va al cortometraggio La notte brucia di Angelica Gallo. Premio Achille Valdata a La Traversée di Florence Miailhe