Analfabeta digitale eppure mosso da una insaziabile curiosità pionieristica, Werner Herzog – che ha fatto la sua prima telefonata all’età di 17 anni e fino all’età di 11 non sapeva neppure dell’esistenza del cinema, mentre tuttora non possiede un cellulare – era l’uomo giusto per raccontare internet nei suoi aspetti più misteriosi e oscuri, fuori dai luoghi comuni trionfalistici. Il cineasta di Monaco di Baviera, 74enne, considerato uno dei padri del Nuovo Cinema Tedesco, documentarista raffinato (nel 2005 fu candidato all’Oscar con il suo Grizzly Man) dedica il suo Lo and Behold a visitare i territori per lui semisconosciuti della rete, in senso molto lato naturalmente. In dieci capitoli, a partire dai suoi albori e fino alle minacce attuali. Un documentario quasi di fantascienza si apre con Leonard Kleinrock, professore di informatica all’UCLA di Los Angeles, che ci porta nella stanza 3420, quella da cui avvenne il primo collegamento di Arpanet: due computer dialogarono in remoto, mentre gli scienziati parlavano al telefono per guidare l’operazione. Riuscirono a trasmettere solo le due lettere “L” e “O” di LOG IN e questo spiega il titolo del film, che gioca sul significato quasi poetico dell’espressione “Lo and Behold”, più o meno “guarda qua, ammira”. Da quelle esperienze pionieristiche, che risalgono alla fine degli anni ’60, si è sviluppata un’intera civiltà fondata sul world wide web: ormai anche i monaci buddisti camminano con l’iPhone in mano. Herzog ce la restituisce attraverso interviste fatte col suo metodo: niente preparazione e al primo incontro subito le domande per conservare la freschezza. Gli interpellati sono figure ciascuna a suo modo rappresentative di qualche aspetto fondamentale, dal mago degli hacker Kevin Mitnick, che con la sua parlantina riesce a farsi dare le chiavi d’accesso ai segreti industriali e a tenere in scacco l’Fbi, a Elon Musk, cofondatore di PayPal, amministratore delegato di Tesla Motors (quella delle auto ecologiche) e boss di SpaceX, l’azienda che intende portarci in un futuro non troppo lontano a viaggiare e soggiornare nello spazio o su Marte.
Forse la parte più interessante del documentario, almeno per chi scrive, è quella connessa ai rischi dell’uso dissennato e invasivo della tecnologia con echi nella cronaca di questi giorni (il caso di Tiziana Cantone, la donna indotta al suicidio dopo che un suo video hard è stato diffuso su YouTube). Così conosciamo i genitori e le sorelle di una ragazza americana morta in un drammatico incidente d’auto in cui era rimasta decapitata: poche ore dopo le sue foto venivano postate sui social e arrivavano anche al padre con una email anonima. Herzog ci porta anche in una clinica dove vengono curati i giovani dipendenti dai videogame: ci sono ragazzi che muoiono letteralmente d’inedia dopo essere stati per 50/60 ore attaccati al computer, dimenticando le proprie necessità vitali; in Corea del Sud si mettono un pannolone per non dover interrompere il gioco. Quindi incontriamo una comunità che vive in una zona protetta dai ripetitori wireless dei telefoni cellulari per scelta o perché affetti da una patologia che rende ipersensibili ai campi elettrici… Infine, siamo spinti a chiederci cosa potrebbe esserne della nostra civiltà in caso di blackout, un’eventualità neppure troppo remota. E’ accaduto in Arizona e tutto, dai bancomat ai distributori di benzina, dai supermercati alle carte di credito, ha smesso di funzionare. Schiavi di internet, potremmo anche essere in grado di liberarci dal lavoro, un domani, grazie ai progressi insiti nella rete e alla robotica connessa. Ma come al solito la questione è tutta e squisitamente politica, oltre che etica. Forse anche la rete sogna se stessa.
Lo and Behold – Internet: il futuro è oggi sarà in sala con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection dal 6 ottobre.
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