Niente premio Solinas alla sceneggiatura quest’anno e la giuria motiva la mancanza di un vincitore con un laconico comunicato: “Nessun elaborato in concorso, tra i 358 presentati, mostra i requisiti essenziali tali da essere meritevole del premio”. Ci si limita così a segnalare, durante la cerimonia di venerdì 28 settembre in Campidoglio, alla presenza del sindaco Walter Veltroni, le quattro sceneggiature “più promettenti”: Guardàti di David Becchetti, Francesco Tarquini, Gianna Bellavia; Indiano metropolitano di Chiara Laudani e Alessio Cremonini; Il bosco e il fiume di Stefano Scovazzo e Luciano Farina; Il viaggio di ritorno di Lara Fremder.
Certo in 15 anni la sceneggiatura ha riguadagnato l’importanza che le compete e il Solinas è ormai un punto di referimento obbligato per chi vuole diventare autore di soggetti e storie per il cinema, ma “questa vittoria contiene già in sé – sottolineano polemicamente i giurati – i germi della sconfitta”. La crisi ha un solo responsabile per gli ideatori del concorso: la fiction televisiva. Gli sceneggiatori sono molti, ma confezionano script scadenti per le reti televisive e non possiedono una sensibilità cinematografica per le loro storie. Tutta colpa sia dell’assenza di vere scuole di formazione a questo mestiere essenziale per il cinema, sia di una costante richiesta da parte delle televisioni di “bassa manovalanza”.
Così i giurati del Solinas si limitano ad assegnare solo le tre borse di scrittura agli autori dei soggetti più meritevoli: “Ci vediamo lassù” di Michele Pellegrini (15 milioni); “Liberi” di Angelo Carbone e “Liscio” di Marco Campogiani (10 milioni ciascuna). Nel frattempo il Premio Solinas si propone come “istituzione che accompagna il percorso creativo, dal soggetto alla sceneggiatura” e annuncia la prossima apertura di un corso di sceneggiatura, in collaborazione con il Dipartimento delle Arti e dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma. Insomma al di là dei toni duri del momento, immediato è l’intento di salvaguardare questa professione minacciata ancora una volta dalla televisione.
Ma ci si chiede anche: non è forse lo stesso proliferare di script per la fiction televisiva ad aver generato una nuova attenzione verso questo mestiere, in passato lasciato nel dimenticatoio, e ad aver drenato intelligenze e risorse dal cinema? E ancora, quante sono le sceneggiature di professionisti lasciate nel proprio cassetto che in passato non hanno avuto né la voglia né il coraggio di diventare essi stessi registi dei loro script? Il dilemma rimane.
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