20 anni sono quelli di Rebecca Antonaci, Premio Gugliemo Biraghi 2024, consegnato nella cerimonia dei Nastri d’argento (27 giugno 2024, MaXXi di Roma) per il ruolo di debutto nel film di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba, accanto a Lily James e Joe Keery. Sul podio, per lo stesso riconoscimento, quello che il SNGCI dedica agli interpreti più giovani, anche Francesco Centorame, Alessandro Fella e Yile Yara Vianello.
La sua presenza scenica è stata magnetica sin dalle prime sequenze del debutto del film a Venezia 2023: Rebecca Antonaci – come la Mimosa che interpreta – è misurata, l’entusiasmo dei vent’anni vibra nell’intensità del ruolo così come nelle parole con cui si racconta ma, altrettanto, quanto in scena tanto nel narrarsi, sono la discrezione, la cura dei dettagli e la coerenza a costruire il disegno di lei, personaggio e persona. È soprattutto il suo sguardo che rapisce, cristallino e loquace al contempo – stessa essenza delle sue parole -, capace di creare un’armonia omnia tra fotogenia e consapevolezza di sé.
Rebecca, il tuo debutto assoluto sul grande schermo è stato con Finalmente l’alba: quando e come arriva l’arte della recitazione nella tua vita, e cosa dell’interpretazione cinematografica hai compreso appartenere alle tue corde?
È stata una vocazione, la recitazione: ha sempre fatto parte di me, sin da piccola. Ho frequentato scuole di teatro e musical e la mia prima insegnante è stata la mia mentore, colei che mi ha portata a capire potessi intraprendere un percorso anche nel cinema; è stata proprio lei a darmi l’impulso, anche mettendomi a conoscenza che ci fosse il provino per il film: ‘perché non provi?’ mi disse. Il cinema mi piace perché mi sento affidata a qualcuno, amo molto lasciarmi guidare dal regista, un figura con cui mi piace lavorare: sono curiosa della visione dei registi, così cerco di essere sempre come un gesso nelle loro mani, da modellare.
Tu sei anche musicista e performer, dunque la versatilità artistica sembra proprio appartenerti: come racconteresti la Rebecca artista in tre parole?
Sensibile, nostalgica e disponibile.
Il film di Costanzo è ambientato e girato a Cinecittà, un tempio sacro del cinema: hai un ricordo del tuo primo ingresso a Cinecittà, cosa sapevi di questo luogo prima di entrare – per esempio, hai dichiarato di esserti ispirata a Giulietta Masina, che lì con Fellini era di casa – e cosa rappresenta per te, giovane interprete che vorrebbe vivere di cinema?
Per Finalmente l’alba, Saverio mi ha proprio detto di guardare i film di Fellini e Masina, quindi ho visto dentro quelli il mondo di Cinecittà, completamente trasformato per la fantasia. Il primo giorno di riprese abbiamo girato nel Teatro 5, quello di Fellini, ed è stata per me un’emozione fortissima, sentivo un’energia diversa dall’esterno: prima del film mi era capitato di fare dei provini a Cinecittà e ho sempre pensato mi sarebbe piaciuto entrare lì come attrice, per lavorare a un film, e quindi, anche rispetto al futuro, mi auspico di continuare a lavorarci e poterla vedere sempre diversa, perché il bello di Cinecittà è che, in base al set, possa trasformarsi in ogni mondo possibile, e questo mi affascina molto.
Come stai lavorando alla tua formazione? Applichi o studi un metodo di recitazione? Hai una tecnica? Oppure sei un’ attrice ‘di pancia’?
Ho una coach che mi segue per ogni progetto, quando devo preparare i provini, e con lei studiamo Stanislavskij, Strasberg: insomma, in base alla natura del provino capiamo quale sia il metodo migliore per approcciare il personaggio.
Parliamo di talento: non tutte le persone che recitano lo possiedono, possono essere ben dirette e funzionare ma il talento è una virtù innata, da coltivare, che nessuno ti insegna. Nel film di Costanzo ti sei misurata con interpreti di talento, da Lily James a Willem Dafoe: tu possiedi la limpidezza dei tuoi vent’anni ma al contempo esprimi un’eccellenza artistica. Hai compreso cosa significhi ‘avere la stoffa’, cosa sia il talento?
Ritengo il talento sia qualcosa d’innato, ma ciascuno di noi ne possiede uno, che sia artistico o meno, e io penso di averlo, ma penso sia una vocazione, sia quella forza che ti dice: ‘se non farai questo nella vita, non potrai fare altro’, ed è quello che sento io, sento sia la strada che voglio prendere e non potrei fare altrimenti; sono un po’ vittima di questa passione, quindi forse anche questo è talento: la necessità di fare quello che stai facendo. Io mi metto sempre in discussione, ritengo non si sia mai arrivati in questo mestiere – come sempre nella vita -, quindi penso il talento sia sentire dentro questa vocazione. Posso piacere o non piacere, è soggettivo, ma nel cinema penso gli incontri giusti con le persone giuste contino: ci sono registi, come Saverio, che hanno visto in me qualcosa… e magari altri no, quindi il talento è possibile anche nell’incontrare la persona che te lo faccia fuoriuscire,.
Essere destinataria di un premio, che in particolare omaggia il talento degli attori emergenti, che valore pensi possa avere per la carriera? Per te personalmente ma anche per chi ti osserva, chi ti dovrà scegliere per prossimi progetti.
Il Premio Biraghi è il primo premio importante che ricevo, sapere di riceverlo mi ha fatta sentire felicissima e mi ha fatto un certo effetto, ne ho sentito l’importanza. Non ho pensato alle conseguenze del premio ma alla gratitudine verso persone che hanno visto il film e hanno così visto qualcosa in me. Poi, è ovvio ci sia la speranza che il premio mi permetta di essere vista come una persona che ha avuto un riconoscimento ma, come dicevo prima, non si arriva mai… per cui spero che il Biraghi mi permetta di avere una maggiore visibilità come attrice, ma in questo momento cerco di godermi la consegna del premio.
Nel tempo più recente del cinema si stanno presentando sulla scena italiana diversi attori emergenti, o aspiranti tali: guardando a te e ai coetanei, quale avverti sia lo stato di salute del nostro cinema per la vostra generazione?
In quest’ultimo periodo ho notato si presti molta più attenzione ai giovani, sia nei premi che nelle opportunità, lo percepisco anche nei progetti che sto ricevendo per i provini, e questa cosa è una speranza per il futuro perché il cinema non può restare immobile, deve cambiare in base a come cambia la società, quindi i giovani dovranno conquistare sempre maggior importanza, appunto perché sono il futuro del cinema. Ho ricevuto, proprio in questo ultimissimo periodo, progetti con giovani in ruoli protagonisti.
E che tipi di personaggi ti/vi vengono offerti? Per te, il classico da ‘figlia’, oppure c’è una ricerca più particolare?
C’è una multitudine di tutto, sia progetti in cui sono ‘figlia’, ma anche storie di grande ritorno al passato, molti sono progetti d’epoca, dal ‘700 agli Anni ’40-’50. C’è una varietà che apprezzo molto, anche perché fino a un anno fa ricevevo solo proposte per ‘la figlia di…’, ‘la figlia di…’, con il classico stereotipo dell’adolescente.
Hai accennato ai film d’epoca, e così penso al ‘genere’, che proprio in questi anni più recenti sta cercando di tornare nel nostro cinema. C’è un genere specifico con cui ti piacerebbe misurarti?
In questo momento mi piacerebbe un horror, o un thriller, perché è qualcosa che non ho mai fatto e sento mi stimolerebbe come attrice, oltre che per superare una mia paura: faccio molta fatica a vedere i film horror, sono davvero suscettibile, e proprio per questo mi ci vorrei misurare; penso che in una situazione in cui debba provare paura riuscirei a tirar fuori qualcosa di vero, perché sono proprio così nella vita; però, mi piacerebbe anche la parte di chi spaventa, come prova personale.
Progetti in corso e per il futuro?
Mi è entrato da poco un progetto, ma non posso ancora dire nulla, però a settembre dovrei iniziarne uno nuovo, cinematografico, italiano.
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