Sua è l’istantanea dell’arresto di Mussolini in un comizio interventista (1915) così come quella dell’assalto fascista a un giornale (1922); sua la foto che mostra il deputato comunista Misiano costretto a sfilare con un cartello al collo in un corteo di fascisti (1922); suo è il servizio fotografico del ritrovamento del corpo del deputato Giacomo Matteotti (1924). Ma nella prima personale dedicata al padre dei fotoreporter italiani – Adolfo Porry-Pastorel – L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia dal 2 luglio al 24 ottobre al Museo di Roma a Palazzo Braschi – ci sono anche le sue immagini della marcia su Roma; di Mussolini comiziante (1920); del duce in mezzo ai contadini con il figlio Romano sulle spalle (1929); del duce che trebbia il grano ma anche di quel set cinematografico in piena regola (1934); di un duce a disagio vestendo l’equipaggiamento pesante dei minatori.
Porry-Pastorel è un uomo indipendente che documenta il suo tempo, le vicende politiche, i riti e l’iconografia della dittatura, senza tralasciare il costume e la vita quotidiana, come la mostra evidenzia alternando le immagini di entrambi gli scenari. Oltre all’Italia ufficiale, Porry-Pastorel ci mostra l‘Italia della gente comune, non prigioniera della posa di regime: la giornalaia circondata da bambini scalzi; le donne spazzine infagottate in divise di taglia maschile, il passeggio femminile al Colosseo, l’anziana che noleggia seggiolini pieghevoli in piazza San Pietro. Ma anche la bella vita dei borghesi tra ippodromi, caffè e spiaggia.
Oltre 80 scatti, provenienti dall’Archivio storico Luce (che conserva 1700 negativi di Pastorel e più di 180mila immagini della sua Agenzia fotografica VEDO-Visioni Editoriali Diffuse Ovunque creata nel 1908) e da altri importanti fondi, illustrano la vita e il lavoro di Porry-Pastorel, fotografo, giornalista, reporter, dagli anni Dieci ai Quaranta del Novecento. E proprio nell’Archivio Luce è stata trovata da poco, durante la preparazione della mostra, la lastra ritenuta originale della foto dell’arresto del Mussolini interventista, immagine che in passato è stata tramandata e diffusa ricorrendo a fotografie riprese dai giornali, come ricorda il curatore Enrico Menduni. “Lavoreremo molto per scoprire altri tesori del nostro Archivio Luce Cinecittà – dice la presidente Chiara Sbarigia – e renderli fruibili in modo nuovo soprattutto dai giovani”. La mostra è promossa, ideata e organizzata da Istituto Luce Cinecittà con Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Archivi Farabola, Archivio Vania Colasanti, Fondazione di studi storici Filippo Turati. Servizi museali Zètema Progetto Cultura.
L’esposizione è arricchita da filmati storici dell’Archivio Luce, appositamente realizzati, stampe originali, documenti inediti e oggetti personali. Tra questi spiccano una lettera di ‘segnalazione’ anonima di Porry-Pastorel come fotografo non gradito ad alcuni uffici del regime e il suo biglietto da visita: uno specchio da borsetta per signore con, sul retro, il telefono dell’agenzia da chiamare subito in caso di avvenimenti di cronaca. La variante maschile, un orologio da tasca, era data in regalo ai vigili urbani. Negli scatti dell’esposizione troviamo infatti i primi passi di una comunicazione di massa, sviluppata nei quotidiani e nei periodici di grande tiratura degli anni ’20 e ’30, quella della fotografia che racconta autonomamente un fatto senza necessariamente bisogno dell’accompagnamento di un testo.
Non solo fotoreporter, ma anche un innovatore della professione. A cominciare dall’attrezzatura portatile per lo sviluppo portata con sé in situazioni importanti, all’utilizzo di piccioni viaggiatori per inviare a Roma i negativi sviluppati sul posto; e ancora l’impiego di un furgone Ford trasformato in un attrezzato laboratorio fotografico ambulante. Così come fu uno dei primi professionisti a inviare le immagini attraverso la telefotografia.
Con la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, e soprattutto con la perdita del figlio Alberto, anche lui fotografo, inviato nella tragica campagna di Russia da cui non tornerà più, Porry-Pastorel appende la macchina al chiodo, restando tuttavia a gestire l’agenzia Vedo e i suoi collaboratori, allievi divenuti in alcuni casi affermati professionisti. L’ultima parte della mostra ci racconta di una nuova fase di vita, nel ritiro di Castel San Pietro Romano, borgo di cui diverrà sindaco e promotore per il cinema. È qui infatti che Porry-Pastorel consiglierà a Vittorio De Sica, protagonista del film con Gina Lollobrigida, di far girare Pane, amore e fantasia. Il fotoreporter donerà poi il suo grande archivio, con tutte le foto scattate durante il ventennio fascista, al giovane fotografo Tullio Farabola, che colmerà il vuoto della perdita del figlio Alberto.
L’ultimo scatto in mostra è la foto di Pierluigi Praturlon, famoso fotografo di scena, e lo ritrae, con alle spalle e macchina alla mano Tazio Secchiaroli, altro grande dell’obiettivo e prototipo del paparazzo, nonché allievo del nostro fotografo. È un passaggio di consegne avvenuto al Congresso dei Fotoreporter del 1958, categoria di cui Porry-Pastorel è in quel momento presidente. Correda la mostra-evento un catalogo, edito da Electa e Luce-Cinecittà, che attraverso saggi e testimonianze rappresenta il primo studio organico sul fotografo e sulla stagione che vide la nascita del fotogiornalismo in Italia, e le analogie con il contesto europeo e americano.
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