Arrivando a Cannes, è divenuto un rito dare per prima cosa una scorsa all’inserto che “Le Monde” pubblica all’apertura della manifestazione. Tanto per avere un’dea sugli avvenimenti annunciati. Intendiamoci: “Le Monde” non è la tv, e nemmeno una rivista popolare di cinema; non si preoccupa di quanto avviene sulla scalea che porta all’ingresso del Palais, ma di quanto si vede nelle varie sale di proiezione; enfatizza di più la presenza di De Oliveira che non quella di Sharon Stone. Di conseguenza, incuriosisce sapere quanto sono attesi i film della selezione italiana.
Non vorremmo sbagliarci, ma ci pare proprio che l’ultima volta in cui i nostri film ebbero l’onore del primo piano fu nel 1987, quando, per pura combinazione, in e fuori concorso, vennero a trovarsi Intervista di Fellini, La famiglia di Scola, Good Morning Babilonia dei Taviani e Cronaca di una morte annunciata di Rosi (con l’aggiunta non indifferente di Oci Ciornie di Nikita Michalkov che batteva bandiera italiana).
“Le cinéma des maestros” annunciava – se ricordiamo bene – il titolo. Dopodiché il cinema italiano scomparve dall’inserto, per ricomparire soltanto nel caso venisse programmato un film di Nanni Moretti.
Si dirà che “Le Monde” fa parte di quello che viene chiamato il “triangolo delle Bermude” della critica d’Oltralpe, che in realtà è un quadrangolo, poiché, a comporlo, oltre ai critici di “Le Monde”, sono quelli di “Cahiers du Cinéma”, di “Libération” e di “Les Inrockuttibles”, cioè del quartetto che da oltre un decennio si è distinto nello snobbare il cinema italiano.
Speravamo in una inversione di tendenza, provocata magari dai “girotondi”, dalla sparata di Moretti a Piazza Navona, eventi che avevano ottenuto ampio spazio sulla stampa francese, riaccendendo parallelamente l’interesse intorno al nostro cinema.
Ma, scorrendo l’inserto di quest’anno, nulla pare cambiato: si privilegiano ancora una volta le cinematografie del Terzo Mondo, gli “hors compétition” americani, la selezione e i classici francesi restaurati, come Playtime di Tati. Si dà il benevenuto al cinema thailandese, che già l’anno scorso si era affacciato sulla Croisette con Le lacrime della tigre nera; si appaiano il film israeliano e il film palestinese, entrambi postulanti la pace in Medioriente. Si segnala la “vague mèditerraneenne”, ma è un’ondata che non si allontana dalla costa maghrebina.
Come concludere? Non crediamo a una diffidenza preconcetta nei nostri confronti. Lo stesso trattamento in fondo viene riservato anche ad altri paesi europei dal grande passato cinematografico. A leggere i titoli dell’inserto e dei film che fanno colpo su “Le Monde”, prevalgono i “soggetti forti”, cioè le vicende, la cui drammaticità travalica i confini della cronaca quotidiana o locale, per imporsi come problema, che riguarda direttamente il mondo intero e di cui il mondo intero dovrebbe farsi carico; la pace, la guerra, i diritti umani e quant’altro ancora.
Siccome questi problemi riguardano soprattutto i paesi del Terzo Mondo o, comunque, lontani dall’Eden europeo, ecco dunque privilegiate le piccole cinematografie rispetto alle grandi o presunte tali. Senza contare che anche una trama minimalista diviene “soggetto forte”, se appartiene al film di una cinematografia emergente. L’Iran ha molto da insegnare in proposito.
In questo quadro è difficile che la storia di una donna di mafia in preda a una incoercibile passione adulterina (Angela di Roberta Torre), o l’impossibile menage a trois fra lui, lei e un nano omosessuale (L’imbalsamatore di Matteo Garrone), o ancora i tormenti di una lampedusina un po’ tocca (Respiro di Emanuele Crialese), possano emozionare a priori gli inviati di “Le Monde”.
Sotto tale aspetto è più facile che siano i film sul G8 di Genova e su Carlo Giuliani ad accendere la loro fantasia, anche se Torre, Garrone e Crialese partono da storie altrettanto vere.
C’è solo da sperare che i nostri tre esordienti nell’arena di Cannes non vengano travolti dalla massa di film e di suggestioni varie che in questi giorni si rovescia sui media. Perché non si tratta di esordi qualunque: hanno tutti i titoli per segnare la nascita di una nouvelle vague italiana, se per nouvelle vague intendiamo film e autori che poco o nulla debbono al passato, sia pure glorioso, della loro cinematografia, tutto o quasi al loro originalissimo talento.
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