In Francia ha raccolto 400mila spettatori in quattro giorni, nonostante le polemiche e gli attacchi anche frontali. Ecco L’ufficiale e la spia, il nuovo film di Roman Polanski finalmente nelle sale italiane – dal 21 novembre con 01 Distribution in 350 schermi – preceduto da un caso mediatico ingombrante. Polanski sconta ancora le antiche accuse di violenza sessuale ai danni della minorenne Samantha Geimer – per questo è bandito negli Stati Uniti – a cui ora si aggiungono le recenti dichiarazioni di Valentine Monnier, che gli imputa uno stupro avvenuto 40 anni fa a Gstaad. Sono accuse che pesano e scottano, tanto che il ministro della Cultura francese ha sconsigliato di andare a vedere il suo film che del resto si potrebbe anche leggere come una disamina di come un complotto possa distruggere la reputazione di un innocente.
Alla scorsa Mostra di Venezia, dove poi vinse il Gran premio della giuria, nonostante le dichiarazioni non certo lusinghiere della presidente Lucrecia Martel, se ne era parlato in assenza del diretto interessato, impossibilitato a viaggiare per il mandato di cattura internazionale (leggi l’articolo di Cinecittà News). Anche stavolta tocca alla moglie, Emmanuelle Seigner, rappresentare il film. E’ poco loquace, l’attrice, che ha un ruolo minore, quello dell’amante del colonnello Picquart, ovvero del militare che riuscì a far luce sul caso Dreyfus (siamo nel 1895 e negli anni successivi, fino al 1906) portando non senza rischi alla clamorosa riapertura del processo. Tutto ciò fu possibile anche grazie al celebre articolo di Emile Zola, J’accuse, dura requisitoria contro i vertici dell’esercito che divise in due la Francia tra innocentisti e colpevolisti. Seigner è affiancata dal coproduttore italiano, per Eliseo Cinema, l’inarrestabile Luca Barbareschi, che ha sposato appieno la filosofia dell’opera. Ebreo orgoglioso, con la kippah sempre sul capo, rivendica l’attualità del discorso sull’affaire Dreyfus: “L’ufficiale e la spia non è solo un film ma una presa di posizione su una tragedia contemporanea. Abbiamo confuso la verità con la post verità, cioè la notizia data alla pancia. Chi oggi brucia i libri, domani brucerà le persone. Il film racconta la delegittimazione del meccanismo politico, giudiziario e militare che porta, tra le altre cose, all’antisemitismo. Nessuno ce l’ha con gli ebrei, ma molti ce l’hanno con il pensiero intelligente e gli ebrei, senza essere più intelligenti degli altri, esercitano maggiormente il pensiero”.
Il film, coprodotto da Rai Cinema, lascia Dreyfus sullo sfondo (anche se si apre con la scena sconvolgente della sua degradazione di fronte alle massime autorità militari e alla folla urlante e ci mostra anche squarci della sua reclusione sull’Isola del Diavolo), si concentra invece su un’altra figura, quella del colonnello Georges Picquart (Jean Dujardin). Un uomo che fa parte dell’apparato e che non ha simpatia né per gli ebrei né per Dreyfus, ma che ha molto a cuore la verità e la correttezza: quando viene messo a capo del controspionaggio militare si rende conto ben presto che attorno al caso ci sono una serie di incongruenze, di false accuse e di reticenze, mentre una spia francese continua a passare segreti ai tedeschi. Ma perché Polanski e Robert Harris, scrittore e sceneggiatore, hanno fatto questa scelta? “Dreyfus – risponde Barbareschi – è un piccolo funzionario che subisce un’ingiustizia. Il punto di vista del film non è semitico, non si parla di ebrei che difendono ebrei. Si parla di un uomo, Picquart, che difende la giustizia”. Emmanuelle Seigner, al suo sesto film con il marito, ribadisce che adora lavorare con lui “perché è un grande regista e… se devi operarti scegli un chirurgo bravo”. Aggiunge che al montaggio è un mago e riesce a far recitare bene chiunque. “Quando lavoro con lui sono un’attrice come un’altra – assicura – L’unica differenza è che mi conosce bene, in lui ho completa fiducia”. Immancabile la domanda sugli scandali. “Questo – afferma Seigner – è un film molto importante perché parla di antisemitismo, razzismo, odio per l’altro, odio per lo straniero. Dice come un’istituzione come l’esercito possa trasformare una menzogna in verità. E’ qualcosa di attuale. Il film resterà, le polemiche tra dieci giorni saranno svanite. Malgrado i progressi della scienza e della tecnologia, l’uomo è tuttora un essere stupido e cattivo. Il film è molto bello dal punto di vista formale, ma spero che faccia riflettere le persone e siccome nei primi quattro giorni di uscita in Francia l’hanno visto in tantissimi, nonostante tutte le fesserie che sono state dette, vuol dire che la gente non è così stupida”. Il produttore è più esplicito com’è suo costume: “Sono quarant’anni che rompono i coglioni a Roman. Ognuno si alza e dice la sua. Siamo al rutto libero”. Per Barbareschi, che nel film fa anche una fugace apparizione nel ruolo del marito tradito: “È grave che un ministro sconsigli di vedere un film, o che lo faccia il portavoce del primo ministro. Come a Venezia dove questa signorina dalle idee maccartiste (Lucrecia Martel, ndr) ha fatto la sua battaglia… La Francia è un paese libertario e libertino, il paese degli scambisti, che improvvisamente diventa il paese dei moralisti. Questo è molto triste. E c’è una responsabilità della stampa che si attacca ai pettegolezzi”.
Ma le nuove accuse a pochi giorni dall’uscita sono una casualità? “Niente è per caso – dice Emmanuelle – Ma il film dice una cosa importante, che l’essere accusato non vuole dire automaticamente essere colpevole. Su questo tutti dovremmo riflettere”. E Barbareschi si concede una digressione sui segreti di Stato. “Non sapremo mai la verità sulle stragi del nostro paese: la stazione di Bologna, Piazza Fontana… Forse è anche giusto che ci siano segreti di Stato, non fa bene alla democrazia che tutto venga detto. E poi i militari eseguono ordini, anche se assurdi. Basta leggere Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu per rendersi conto di come mandavano a morire centinaia di fanti”.
Seigner parla del suo personaggio “molto moderno”. “All’inizio Piacquart non aveva voluto sposarla e per questo lei si era accasata con un altro pur amando lui, ma alla fine capisce che il matrimonio non fa per lei. Quando lui si propone, dopo che lei ha divorziato, dice no, continuiamo così. È una donna un po’ insolente per quell’epoca. L’unica donna in un film di uomini”. Seigner è entrata nel progetto solo quando si è rinunciato al cast anglosassone optando per una produzione francese. “Ero affiatata con Dujardin e adatta per età a recitare con lui”. E per Barbareschi è bello che il film sia francese: “E’ una scelta identitaria, per una storia francese ed europea”.
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