Pietro Reggiani: mio fratello sulla luna


L'estate di mio fratelloUn’opera prima autoprodotta che, a sorpresa, partecipa in gara al Tribeca nella sezione Narrative Features dopo aver vinto, altrettanto a sorpresa, la Rosa Camuna d’oro al Bergamo Film Meeting. L’estate di mio fratello segna un esordio da tenere d’occhio, quello di Pietro Reggiani, autore di spot e cortometraggi, tra cui Asino chi legge, segnalato da una candidatura ai David. Con toni surreali e un montaggio piuttosto originale, il film racconta le disavventure, tra reale e immaginario, del piccolo Sergio e di un fantomatico fratellino che potrebbe piombare nella sua vita con la potenza dirompente di un’invasione di alieni distruggendo i privilegi dell’essere figlio unico. Combattuto tra istinti omicidi e devastanti sensi di colpa, del tutto incompreso dai genitori che oltretutto sono in crisi tra loro, scettico anche nei confronti dei suoi coetanei, maschi e femmine, Sergio è un nevrotico in erba ma ha dalla sua una creatività fuori dal comune che lo aiuta a trasformare le sue frustrazioni in altrettanti sketch mostrati da Reggiani con uno stile straniato, meditativo eppure leggero. E siccome ci sono voluti sette anni per arrivare dalla prima stesura al film finito, i protagonisti (Davide Veronese e il fratellino immaginario Tommaso Ferro) hanno fatto in tempo a crescere e “scrivere” un finale inatteso anche per l’autore. Che ha prodotto grazie a Nuvola Film con l’aiuto di Infinity Festival e i soldi di sua madre.

In che modo ti ha aiutato portare il progetto a Infinity nella sezione Work in Progress?
Mi ha permesso di convincere mia madre a darci una parte dei 250mila € spesi per il film. Adesso stiamo cercando una distribuzione e speriamo, ovviamente, che partecipare a un festival importante come il Tribeca di Robert De Niro, ci dia una mano. Ma non c’è niente di definito: in Italia, per un’opera prima, è difficile persino convincere i distributori a vedere il vhs.

 

L'estate di mio fratelloÈ vero che hai riscritto la sceneggiatura per sette anni?
È verissimo. Il film era nato come una storia estiva , tanto è vero che ci siamo sbrigati a girare la prima parte. Poi mi sono ritrovato con 67 minuti di premontato ma non ero più convinto di niente. Ho immaginato una cornice, poi un’altra, e le varianti si sono moltiplicate. Davide Veronese, che all’epoca aveva dieci anni, è diventato adolescente e tutti gli altri attori, piccoli e grandi, sono invecchiati. Da qui è nata la scelta del finale.

Come hai selezionato i bambini?
Con annunci sul quotidiano di Verona, “L’Arena”. Ho fatto provini a circa 200 bambini: a loro chiedevo di mettere in scena le loro fantasie. Davide era venuto con il fratello più piccolo e ha detto subito: “facciamo che gli alieni ci rapivano”. Anche Tommaso mi ha conquistato immediatamente.

Le fantasie infantili di oggi sono cambiate rispetto agli anni ’60 che racconti?
In parte i bambini si sono adattati ai tempi, attingono a personaggi e storie contemporanee. Mi ha stupito però ritrovare Fantozzi in molti giochi: era e resta il prototipo dello sfigato imbranato.

 

Sei figlio unico?
Certo, con tutti i pro e i contro del caso. Non credevo che il film fosse autobiografico ma via via mi sono reso conto che venivano fuori tante sensazioni intime spesso represse: rabbia, sensi di colpa…

 

Tua madre l’ha visto?
Sì, avevo paura che la prendesse male, invece l’ha trovato bello e l’ha proprio adottato.

Tuo padre, Stefano Reggiani, è stato un importante critico cinematografico della “Stampa”. Ti ha trasmesso lui l’amore per il cinema?
Mi diceva: se vuoi fare il regista scrivi una bella sceneggiatura di ferro. Era terrorizzato all’idea che io fallissi.

 

Ti sei ispirato all’episodio di “Caro diario” sui figli unici?
Non mi sento morettiano. Moretti si getta nella mischia in prima persona, mentre io cerco di allontanarmi dalle mie storie e non potrei mai recitare. Tra i miei riferimenti ci sono Woody Allen e Charlie Chaplin: l’incapace di genio.

autore
18 Aprile 2005

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