PIERS HANDLING


“Dopo gli incredibili fatti dell’11 settembre, ci siamo uniti per condividere le angosce e confortare i nostri vicini, amici, colleghi e le loro famiglie in America e intorno al mondo che sono stati coinvolti in questa devastazione. Possiamo trovare sollievo solo gli uni negli altri, ogni tanto perdendoci in un film. Insieme abbiamo continuato a sperare e a rattristarci con il resto del mondo”.
Si è chiuso in sordina, il Toronto Film Festival, su queste parole del direttore Piers Handling, pronunciate in una cerimonia di chiusura, domenica mattina, sottotono e senza giubilo. Mentre nella moschea del Jaffadi Islamic Centre, che sorge a un isolato dalla sinagoga ebraica, in città, si svolgeva la giornata di preghiera per le vittime a New York e al Pentagono e in attesa di una guerra che si annuncia terribile. Una giornata importante in cui parole in ebraico si sono mescolate a preghiere islamiche. Nello stesso momento si è svolta una celebrazione con gente di tutte le fedi al Vishnu Temple tra Yonge e l’Highway 7. Cattolici e anglicani hanno pregato insieme al St. James Anglican Cathedral, tra King e Church Street. Tra Dundas e High Park avenue, la Toronto Baptist Church ha deciso di celebrare il rito all’aperto e di raccogliere fondi per le vittime del terrorismo. E ancora, i Sikh hanno organizzato una preghiera speciale al Khalsa Darbar Temple. Ma a Toronto la celebrazione degli islamici è stata la più ricca di significati, dal momento che la loro comunità è stata oggetto di ritorsioni e minacce, nei giorni successivi agli attentati. Sono state attaccate persino le scuole. “È importante oggi essere qui -­ ha commentato Deborah McCormark -­ io sono cristiana ma ho voluto portare tutta la famiglia. È una lezione della storia”. E mentre la gente si avvicinava, allo scorrere al microfono di testimonianze di eroismo e sofferenza dalla vicina New York, c’erano anche persone, come Michal Laird, assolutamente sole: “Noi siamo di Tel Aviv -­ ha raccontato – e non è facile. Ma voglio essere tollerante, per questo sono qui. Ho dovuto combattere contro me stessa, lo ammetto”.
Ma torniamo al festival. Pur non essendo un appuntamento competitivo, domenica ha visto le consegne dei premi messi in palio da alcuni sponsor. “Mi sento in colpa a essere felice in questo momento -­ ha dichiarato Sean Garrity di Winnipeg, che si è portato a casa il riconoscimento per la migliore opera prima canadese con Inertia -­ ma nello stesso tempo è dura reprimere questo sentimento di soddisfazione, dopo aver lavorato così duramente”. Il film, un groviglio romantico che coinvolge quattro cittadini di Winnipeg, ha vinto un premio di 15.000 dollari canadesi (circa 22 milioni e mezzo di lire) assegnato da City tv, una delle emittenti locali più note.
Atanarjuat (The fast runner) di Zacharias Kunuk, che aveva già conquistato la Caméra d’Or al festival di Cannes, è il primo lungometraggio in Inuktitut, la lingua inuit, ed è risultato miglior lungometraggio canadese. Un segnale di grande apertura, per un popolo che ha sempre aiutato i nativi, ma li ha anche segregati in un loro specifico territorio. La storia, basata su una leggenda inuit che parla di amore e vendetta, è stata osannata dalla critica e ha registrato un tutto esaurito di pubblico, senza contare l’apprezzamento ai festival di tutto il mondo. Ma sfortunatamente, ha dichiarato il regista, trasformare questi successi in un finanziamento per il prossimo progetto, un dramma storico sui missionari e i commercianti di pellicce nell’Artico, non è affatto semplice. “Persino il nostro governo dei nativi a Nunavut -­ ha spiegato Kunuk -­ non può aiutarci. Non finanziano i privati e noi siamo una piccola azienda indipendente e privata”.
Di Jean-Pierre Jeunet e Mira Nair vi abbiamo già detto. Resta da segnalare il molto apprezzato documentario Estela Bravo, un’americana vissuta a Cuba dal 1963 e che ha iniziato a realizzare film su Cuba nel ’79. In Fidel racconta i 75 anni di Castro, ragazzo amante del basket che diventerà carismatico conquistatore col nomignolo di “The Chocolate Box”. Tra le curiosità, il fatto che Castro non può cantare né danzare, ma ha una grande memoria, un ingegno sottile e un grande senso dell’umorismo. Alla domanda, quante volte hanno provato a ucciderti, risponde: “Lo saprò solo quando andrò in paradiso”.

autore
18 Settembre 2001

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