Belli e (quasi) invisibili. Sono spesso le piccole distribuzioni a individuare e acquistare i film più interessanti e innovativi del panorama nazionale e internazionale, ma queste opere rischiano di restare sconosciute alla maggior parte del pubblico per la difficoltà a trovare spazio e visibilità in sala. Lo testimoniano i casi recenti di Nessuno deve sapere di Bouli Lanners e La California di Cinzia Bomoll, entrambi lanciati lo scorso 1° dicembre, che, a dispetto della buona accoglienza di critica fatte registrare nei festival, sono usciti rispettivamente con 4 e 17 copie, su un totale, dati Cinetel, di 2.982 schermi accesi.
“La situazione – commenta Franco Zuliani, titolare di Officine Ubu, la società che distribuisce La California – è drammatica, perché il mercato è saturo di prodotto, le presenze sono drasticamente calate, ci sono meno sale, perché, dopo il Covid, molte non hanno ripreso l’attività e quelle in funzione hanno diminuito i giorni di apertura e il numero degli spettacoli giornalieri. Far quadrare i conti è sempre più complicato perché per portare il pubblico in sala servono tonnellate di pubblicità, perché il mercato home video è morto e i ricavi dalla vendita dei diritti a tv e piattaforme sono esigui”.
“Il teatro deputato per i nostri film – commenta Paolo Minuto, titolare di Cineclub International – sono sempre state le sale indipendenti, che oggi sono invase dal prodotto commerciale: con il calo complessivo del mercato, infatti, nel tentativo di recuperare spettatori, le grandi distribuzioni si stanno rivolgendo anche ad un segmento di esercizio a cui finora non erano interessate. Senza contare che gli spazi per gli indipendenti si sono ulteriormente ristretti per la nascita di nuove, agguerrite società. Come si può pensare di ottenere attenzione e far scoprire film e nuovi autori al pubblico essendo inesorabilmente condannati ad uscite con un numero di copie miserrime? Per difendere i diritti dello spettatore, garantire un’offerta variegata e non impoverire il mercato, non resta che ripartire dal basso, inventarsi nuovi spazi, stringere accordi per uscire in prima battuta nei cineclub, che in certe regioni sono ancora una realtà, guardare al mondo della scuola”.
Non ha timore di denunciare una realtà caratterizzata da una serie di posizioni dominanti Claudia Bedogni di Satine Film. “E’ noto che anche gli esercenti sono condizionati: per ottenere la disponibilità di certi film sono spesso costretti a programmare altri titoli della stessa casa di distribuzione di cui farebbero volentieri a meno. La corsa al tax credit ha ingigantito il fenomeno: si producono una quantità di film che non hanno motivo di essere proiettati sul grande schermo, ma arrivano comunque in sala per uscite tecniche che consentono di accedere ai benefici di legge e alla successiva vendita sulle piattaforme, con risultato di ridurre gli spazi per i film meritevoli. La collaborazione con l’esercizio è fondamentale: con le sale del circuito ACEC lavoro meravigliosamente”.
“La realtà – è il parere di Emanuela Piovano, titolare di Kitchen Film, distributrice del citato Nessuno deve sapere – è che non esistono più regole: vendere i film è come vendere il pesce al mercato. E’ tutto molto improvvisato: non solo è complicato trovare le sale, ma accade che gli accordi siglati con gli esercenti vengano disattesi all’ultimo minuto. Paradossalmente la pandemia aveva accresciuto la visibilità delle distribuzioni indipendenti, perché, subito dopo la fine del lockdown con le grandi distribuzioni timorose di proporre i propri film, il mercato si era aperto ai piccoli. Se non siamo ancora scomparsi è perché, grazie al digitale, si sono potuti abbattere i costi per la promozione, oggi affidata alla rete, piuttosto che alla flanistica e alle affissioni; per la stampa delle copie, che non sono più in pellicola, e per la logistica perché, anziché trasportare le pizze, oggi un film arriva al cinema con un link”.
“Contenere i costi – ribadisce Claudia Bedogni – è una inevitabile necessità, ma certe spese restano consistenti: se si punta alla sala, ed io non ho alcuna intenzione di rivolgermi alle piattaforme o trasformarmi nel braccio operativo di grandi aziende che, avendo contratto un numero eccessivo di acquisizioni, cedono alcuni titoli ai piccoli, bisogna confezionare prodotti di qualità a partire dal doppiaggio, su cui non si può risparmiare, affidandosi agli improvvisatori”.
Non resta che porsi la classica domanda che fare? Minuto e Zuliani concordano con la necessità di un intervento pubblico, “perché – ricorda il primo – il mercato non si autoregola da solo”. “Ma – commenta il secondo – la soluzione non può limitarsi a ottenere uno sconto di due euro sul prezzo del biglietto per i film italiani: serve un intervento di ben altro respiro”.
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