TORINO – “Ho sempre considerato Giuseppe un uomo di grandissimo spessore, sensibilità e attenzione ai personaggi femminili, un regista che sa raccontare con leggerezza. È una persona complessa, ma ha chiarezza e semplicità nell’esporre quello che vuole fare, anche con un senso di gioco. Come attore ti fa sentire molto sostenuto”, così Margherita Buy a cui è affidato il compito di consegnare a Giuseppe Piccioni il Premio Maria Adriana Prolo alla carriera al TFF. Un premio importante, che ogni anno l’Associazione Museo Nazionale del Cinema assegna a una personalità del cinema italiano. Margherita è stata una complice importante del cinema di Piccioni – “non sapete che coppia di ballerini siamo lei ed io, come Fred Astaire e Ginger Rogers”, scherza il regista – e tra i suoi personaggi c’è suor Caterina, la protagonista di Fuori dal mondo, il film del ’99 che viene proposto dopo la cerimonia di premiazione nella copia della Cineteca Nazionale. Spetta invece a Caterina Taricano, direttrice della rivista Mondo Niovo 18-24 ft/s che dedica all’autore di Ascoli Piceno un numero monografico, curato anche da Maria Giulia Petrini, introdurre l’incontro con il regista. Che afferma: “Non mi riconosco nella malinconia spicciola che mi viene attribuita, però l’insieme delle testimonianze raccolte su di me mi costringe ad avere uno sguardo retrospettivo su un arcipelago di esperienze, di allegria e di fatica. Cerco un pubblico, ma non il pubblico in generale. Come diceva Manzoni patire non è una disgrazia, la vera disgrazia è far patire. Quello che manca a questo paese è il coraggio, la possibilità che le persone possano manifestarsi in modo personale, che ci sia libertà accanto al mercato”.
L’esordio di Piccioni, nel 1987, è avvenuto con un produttore indipendente alle prime prove anche lui, Domenico Procacci. I due erano stati compagni di scuola al Laboratorio Gaumont e così nacque Il grande Blek. Ma tutta la carriera del cineasta è nel segno del cinema indipendente e libero, soprattutto mentalmente, con una grande attenzione agli attori, che spesso ritroviamo da un film all’altro, con un amore sincero ed evidente per i personaggi femminili. Tra i suoi titoli come Luce dei miei occhi del 2001 (doppia Coppa Volpi a Venezia per Sandra Ceccarelli e Luigi Lo Cascio), La vita che vorrei (2004), Giulia non esce la sera (2009), Il rosso e il blu (2012). Fuori dal mondo vince una pioggia di David, tra cui Miglior film e migliore interpretazione, raccogliendo consensi in Italia e all’estero (ci rappresenta anche agli Oscar). “All’inizio per quel film i produttori erano scettici, perché il personaggio della suora impensieriva e creava aspettative negative, invece a quella storia devo le mie massime soddisfazioni. In effetti non parla di una suora né delle adozioni, ma di una donna posta di fronte a una scelta. Il tema è il consegnarsi per l’eternità in un mondo dove tutto è provvisorio, dove i ragazzini cambiano squadra da una settimana all’altra. Anche la pandemia è stata un’occasione per cambiare il tipo di vita che abbiamo scelto. Ma forse non ci rendiamo conto delle lezioni della storia. Guardate Mani pulite, si è tanto parlato di corruzione e oggi a me sembra che sia più diffusa e pervasiva rispetto a 20 o 30 anni fa”.
Negli ultimi tempi il 68enne Piccioni, attivo in teatro e anima dell’esperienza della Libreria del cinema di Trastevere, purtroppo ora chiusa, è tornato al lungometraggio con L’ombra del giorno, che potrebbe uscire in primavera. “Non ho mai lavorato tanto come da settembre ad oggi – ammette – C’è stato lo spettacolo teatrale con Filippo Timi e Lucia Mascino che ha avuto accoglienza generosa ed è diventato anche un documentario, Preghiera della sera, un film di 18 minuti presentato alla Mostra di Venezia. Subito dopo ho iniziato il film, che ha avuto intoppi a causa della pandemia. Ho perso un paio d’anni, ma questi rinvii non sono stati del tutto negativi, mi hanno permesso di fare delle scoperte, di lavorare sulla scrittura, di cambiare idea. E’ prodotto da Riccardo Scamarcio, che ne è anche interprete con Benedetta Porcaroli. E’ un film diverso dagli altri miei, ambientato ad Ascoli Piceno tra il 1938 e il ’40 con un personaggio che si illude, come la maggior parte degli italiani, che il fascismo sia quello delle conquiste, delle opere pubbliche, delle nuove città, delle università, ma poi questa promessa di benessere si incrina quando incontra una donna e con le leggi razziali. Ho girato ad Ascoli. Ero al Caffè Meletti, un locale dei primi del Novecento, e improvvisamente ho capito che era la location giusta per questa storia che si svolge tutta in un ristorante e nella sua cucina”. Nel cast anche Lino Musella, Vincenzo Nemolato, il giovane esordiente Costantino Seghi e lo scomparso Antonio Salines.
I dati dell’edizione 2021 contano 32.900 presenze (48.628 visioni online nel 2020; 61.000 presenze nel 2019), 1.678 accreditati stampa e professionali/industry (1.128 nel 2020; 2.090 nel 2019), 21.663 biglietti venduti (18.402 nel 2020; 26.165 nel 2019) e 106.116 euro di incasso (103.083 euro nel 2020; 234.000 euro nel 2019)
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