BERLINO – Heidegger, un ragazzo di nome Robert e la sua sorella gemella, ormoni in subbuglio, una stazione di servizio in piena campagna e l’esame di maturità sono gli ingredienti di Mio fratello si chiama Robert ed è un idiota, film del tedesco Philip Groening in concorso alla Berlinale. Quasi tre ore di durata per un’opera che vola alto e cerca di restituire per immagini l’astrazione (e la concretezza) del concetto del tempo, un classico paradosso filosofico perché il passato non è più e il futuro non è ancora, ma il presente, unico ad esistere, risulta comunque inafferrabile. Ne fa le spese un benzinaio che viene prima violentato dalla ragazza e poi ucciso per scommessa. E non manca una scena di incesto.
Il regista tedesco non è nuovo alle provocazioni e agli estremismi. Autore di un caso cinematografico come il documentario Il grande silenzio (2005), girato in un monastero delle Alpi francesi, e nel 2013 de La moglie del poliziotto, premiato a Venezia (leggi l’articolo del 2013), ha scelto ora due protagonisti adolescenti (Josef Mattes e Julia Zange, una scrittrice alla sua prima prova come attrice) per una vicenda che si svolge nell’arco di 48 ore. Nel fine settimana che prelude all’esame di maturità di Elena, Robert la aiuta a ripassare i testi di filosofia. Sdraiati nell’erba alta o mentre nuotano in un laghetto, i due vivono una simbiosi totale che Elena vorrebbe forse spezzare e infatti propone una scommessa: se riuscirà a perdere la verginità prima dell’esame, avrà vinto lei.
“Ogni film è una scultura fatta di tempo – spiega oggi il 59enne cineasta di Dusseldof – attraverso il cinema arriviamo a sentire, a percepire il tempo”. Un set quasi unico, al confine con le Alpi svizzere che si vedono in lontananza, tra la natura e la stazione di servizio con annesso emporio, dove i due 18enni si riforniscono di birre e merendine e dove, dopo due ore relativamente statiche che hanno provocato l’esodo dei giornalisti dalla sala, esplode un terzo tempo tragico e concitato. “Abbiamo girato per quattro lunghissimi mesi – racconta Julia Zange – e la mia frase preferita del film è che il fondamento del tempo è la speranza. Quello che ho imparato è che il tempo è qualcosa di totalmente soggettivo”.
Sull’escalation di violenza, Groening, che usa nel film molte citazioni filosofiche da Heidegger a Agostino d’Ippona, dice: “I due personaggi parlano ininterrottamente finché non trovano una pistola e allora anche il film esplode, il presente esplode. Gli esseri umani passano dalla teoria all’azione”.E ancora “La violenza è sempre in agguato dentro di noi. Non sappiamo perché queste cose accadano, ma fanno parte della storia dell’umanità”. Mentre alla domanda su cosa sia il tempo, non sa o non vuole rispondere. “Non lo so come nessun altro, ma la cosa mi tortura. L’essere umano non può esistere fuori dal tempo, solo i bambini molto piccoli e gli animali possono”. Julia interviene sul tema della simbiosi: “Con Josef abbiamo trascorso molti giorni insieme prima delle riprese per entrare fisicamente in contatto, questi due fratelli sono talmente vicini che non riescono quasi a distinguersi, spesso, in questi casi, uno dei due deve morire o sparire per liberare l’altro”.
Il film è scritto insieme all’attrice Sabine Timoteo ed è un progetto covato per 18 anni, ma rimasto fermo per la difficoltà di trovare i finanziamenti. “Gli attori come Sabine – dice il regista – hanno uno straordinario senso per i dialoghi”. E sul fascino dell’adolescenza aggiunge: “E’ una fase in cui gli elementi che formavano la personalità del bambino vengono riorganizzati in un ordine diverso. E’ un momento di estrema vulnerabilità e trasparenza che più tardi negli anni diventerà impensabile”.
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In anteprima europea nella sezione Panorama Skin di Guy Nattiv, la vera storia di Bryon Widner, fanatico naziskin redento appartenente ad una feroce famiglia di skinheads. Interpretato da Jamie Bell, il film è stato presentato al Toronto International Film Festival dove ha vinto il Premio Fipresci della Critica
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