VENEZIA – Mike Leigh torna a parlare del XIX secolo nel suo film più costoso e ambizioso, prodotto da Amazon e in concorso a Venezia 75, dopo aver mancato Cannes. Un affresco epico, molto verboso, che è quasi una riflessione sui differenti linguaggi della politica tradizionale, che non esiste più ma a cui l’autore non guarda con nostalgia. Ecco ad affrontarsi le classi dominanti e i lavoratori che rivendicano il diritto al voto nell’Inghilterra dei primi dell’Ottocento. Siamo all’indomani della battaglia di Waterloo – e le prime immagini ci portano proprio in questa carneficina che segnò la vittoria del Duca di Wellington e della restaurazione contro Napoleone Bonaparte. La popolazione inglese, in particolare gli operai tessili di Manchester, è ridotta alla fame, salari sempre più miserabili e il costo del pane che cresce a dismisura per le tasse sul grano, mentre i proprietari sono arroccati sulle loro posizioni: per il furto di un cappotto si rischia di finire sulla forca o esiliati in Australia.
Ecco il contesto in cui si inserisce l’episodio storico che il regista – candidato all’Oscar per il suo precedente Turner – ricostruisce analizzando le vicende che portarono alla strage di St. Peter’s Field in un film di due ore e mezza di durata, che in Italia sarà distribuito da Academy Two dal 21 marzo. Di queste, due ore buone sono dedicate a descrivere le due parti politiche con le loro divisioni interne: i rivoluzionari, sostenitori della protesta pacifica e legalitari oppure i radicali pronti all’uso delle armi, e le classi dirigenti, ottuse oppure scaltre nel voler fare qualche concessione al popolo, ma pronte ad usare ogni mezzo, dalle spie agli infiltrati.
Tutto confluisce nel massacro avvenuto presso St. Peter’s Fields a Manchester dove il 26 agosto 1819 si radunarono oltre 60.000 persone, tra cui moltissime donne – era già nato un movimento organizzato delle operaie – e bambini, per chiedere alla corona, indolente, dissipata e distratta, il diritto di voto e condizioni di vita umane. “Peterloo è una celebrazione del potere della speranza, e un lamento contro l’inesauribile capacità di distruzione dell’uomo. È ambientato all’inizio dell’800 ma parla al presente. Quando abbiamo cominciato 4 anni fa a preparare questo film, ci siamo accorti che aveva attinenza con l’attualità proprio perché riguarda la nascita della democrazia in Europa: il dibattito sul livello di democrazia negli Usa, la Brexit, i problemi legati alle migrazioni forzate sono tutti collegati. In definitiva siamo di fronte all’eterno scontro tra chi ha potere e chi non lo ha”.
Il film non manca di sottolineare il ruolo della nascente informazione (proprio in quegli anni si diffondevano le gazzette e i giornali, tra cui The Guardian): furono proprio alcuni dei giornalisti presenti alla strage, in cui una decina di manifestanti morirono e centinaia furono feriti dagli attacchi della cavalleria, a coniare la definizione beffarda di Peterloo, sulla falsariga di Waterloo.
“Non ho mai fatto film che suggeriscano una direzione di pensiero – sottolinea il regista, Leone d’oro per Il segreto di Vera Drake – mi piace però fare film fornendo elementi che stimolino una riflessione autonoma dello spettatore. In questo caso, si parla delle forze e delle debolezze dell’umanità. L’eterna battaglia di amore, dedizione, integrità e impegno contro potere, corruzione, avidità e cinismo”.
Colpisce, nel film, anche la capacità di approfondire modi di vivere e di esprimersi delle classi popolari, con l’uso del dialetto nella versione originale: “Abbiano cercato di creare personaggi tridimensionali curando i dettagli, i vestiti che indossano, la lingua che parlano, l’iconografia. La storia di Peterloo, che sui libri di scuola è appena un paragrafo, era soprattutto la loro storia. Perché i film di solito si concentrano sulla gente ricca, mentre si raccontano poco le persone normali che hanno case grigie e non hanno bei vestiti”.
Peterloo, sceneggiato dallo stesso Leigh, propone una ricostruzione storica molto precisa, con numerose scene di massa: “La difficoltà più grande è stata quella di trovare le location. La cosa curiosa è che alla fine abbiamo girato ovunque ma non a Manchester, perché ormai la città è completamente cambiata. Abbiamo ricreato la Manchester del 1819 nel Sud dell’Inghilterra”, dice ancora il regista.
Fondamentale l’apporto del montatore Jon Gregory, nominato all’Oscar l’anno scorso per Tre manifesti a Ebbing, Missouri, e del dop Dick Pope. Il film di Leigh arriva per il 200° anniversario della strage, con polemiche in GB per istituire un memorial permanente: già ora, ogni anno, centinaia di persone rievocano quella tragica vicenda. Cast appropriato e assolutamente corale, tra i pochi volti noti quello di Rory Kinnear nel ruolo di Henry Hunt, un proprietario terriero di idee progressiste che si mette alla guida della protesta.
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