MONTE-CARLO – “Certo che conosco Cinecittà. Ci girava Fellini. Mi hanno detto che sta attraversando un periodo difficile, e questo mi dispiace”. Inizia così la nostra intervista al regista Peter Bogdanovich, ospite della 12a edizione del Montecarlo Film Festival de la Comédie. Il regista di Paper Moon e Ma papà ti manda sola? è venuto a presentare il suo nuovo film She’s Funny that Way, commedia degli equivoci sentimentale con Owen Wilson e Jennifer Aniston (leggi il nostro articolo da Venezia).
Com’è cambiata Hollywood rispetto a quando ha iniziato a lavorarci?
Non è più lo stesso posto, tutto è peggiore. Io sono arrivato a Los Angeles nel ’61 e ho assistito alla morte del vecchio star system degli studios. Bastava camminare negli studi della Universal, vedere Spencer Tracy bersi un caffè da solo, senza nessuno attorno, perchè tutti erano in pausa pranzo. Oggi Hollywood è il trionfo del glamour, la regola è fare più soldi possibili nel meno tempo possibile: è tutto un sequel, un remake, un cartoon, un film di supereroi. La Paramount straordinariamente ha realizzato Selma, dovremmo complimentarci tra l’altro, perché è un gran film. Per il resto Titanic ha fatto scuola, basta spendere cifre esagerate per guadagnarne il doppio. E dire che tutti prendevano James Cameron per matto: “Sarà un disastro”, dicevano. E invece…
Come spettatore continua a seguire il cinema italiano?
Purtroppo non molto, circolano pochi film stranieri da noi. Non ho visto neanche La grande bellezza. Ricordo con piacere il periodo d’oro in cui tutti erano in fibrillazione per nuovo film del grande Fellini o di De Sica, ora quell’attesa non c’è, ed è difficile tenersi aggiornati. In America circola soprattutto cinema americano. Ed è un peccato.
Lei era molto amico di Cary Grant, Jimmy Stewart e Jerry Lewis: c’è un attore oggi che considera l’erede di questi grandi interpreti del passato?
No. Marlon Brando ha spezzato la moda dei film improntati sulle grandi personalità attoriali: prima c’erano i Bogart movies, i Grant movies, oggi no. Perché Brando, grandissimo, non voleva etichette. Passava da Shakespeare al musical con disinvoltura. Dopo di lui hanno tutti voluto seguire il suo percorso. Senza, però, essere Brando. Oggi trovo molto carismatico George Clooney e divertente Owen Wilson.
Tra le attrici?
Cate Blanchett e Julianne Moore non hanno rivali.
E cosa pensa dei cineasti contemporanei? Lei ha conosciuto i più grandi: da Alfred Hitchcock a Howard Hawks, da John Ford a Orson Welles.
Ho iniziato riempendoli di domande, ci andavo a pranzo, a cena, scrivevo libri su di loro. È stata la mia università personale. Ho imparato tutto da loro, anche solo seguendoli e standoci accanto. È quello che fanno oggi con me Wes Anderson e Noah Baumbach. Mi piace pensare che sia un ciclo della vita.
Sta preparando un nuovo film?
Ne sto preparando tre, a dire il vero. Uno non è mio, ma di Orson Welles: The Other Side of the Wind, non l’ha mai portato a termine per dei problemi di produzione mai risolti, ma una volta mi fece promettere che lo avrei finito io. Tra l’altro ero nel cast nei panni di un giovane regista, cosa che effettivamente ai tempi ero. E lo porterò a termine, mi darà una mano il mio amico produttore Frank Marshall, ci tengo molto. Wait for me è invece un film su cui lavoro dall’81, una commedia sentimentale con sei fantasmi molto amichevoli, ambientata tra Roma, Vienna, Budapest, Salisburgo, Praga. Un road movie girato sugli aerei che dovevo fare con Cassavetes, ma poi è morto. Così ho pensato a Michael Caine, ma ormai fa solo progetti commerciali, devo ancora scegliere il protagonista. Infine c’è un comedy drama dal titolo One Lucky Moon, con un grande cast e una storia curiosa: un ragazzo che non vuole vendere il suo vecchio parco a tema western ormai in rovina perché a nessuno frega più del western. Sto lavorando su queste tre idee. E su molto altro ancora: a 75 anni dentro mi sento ancora giovane.
Il regista australiano, è noto per il suo debutto nel lungometraggio con il musical 'The Greatest Showman'
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