Arriva nei cinema con un’uscita evento per il giorno di San Valentino, il 14 febbraio, PerdutaMente, con cui Paolo Ruffini, attore, autore e regista popolare in cinema, tv e teatro, in coregia con Ivana Di Biase, torna a toccare un tema di particolare impatto sociale, con un modo profondo e insieme leggero e disincantato, per raggiungere una conoscenza e un coinvolgimento del pubblico più ampio possibile.
Un modo già sperimentato con grande eco del precedente Up&Down, e che in PerdutaMente tocca i confini di un mondo complesso: quello dell’Alzheimer. In questo nuovo lavoro, Ruffini si mette in viaggio per l’Italia alla ricerca di incontri, esperienze, confronti con persone affette dall’Alzheimer, e con chi se ne prende cura: parenti, amici, affetti.
Quello che emerge, sorprendente e irrefrenabile, non è un racconto di malattia, ma è un racconto d’amore. Di un amore come cura, e non di chi è colpito dall’Alzheimer, ma di chi è vicino ai pazienti.
In una stagione in cui ogni giorno e a ogni ora parliamo di ‘contagio’, il documentario ci racconta contagiandoci storie di un’Italia nascosta, colpita da un male, e allo stesso tempo colpita da una reazione straordinaria all’altezza del cuore. Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa irreversibile, per la quale non esiste cura. È la forma più comune di demenza, che colpisce le cellule nervose di varie regioni celebrali (corteccia, gangli e ippocampo), e comporta una progressiva diminuzione delle capacità cognitive.
I sintomi precoci più comuni sono la perdita della memoria recente e le alterazioni comportamentali. L’avanzare della patologia provoca sintomi sempre più gravi, tra cui disorientamento, cambiamenti della personalità, confusione spazio-temporale, depressione, ansia, allucinazioni e deliri, difficoltà nel linguaggio e nei movimenti, nonché gravi perdite di memoria da breve a lungo termine.
Secondo il Rapporto OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e ADI (Alzheimer’s Disease International) la demenza, nelle sue molteplici forme, è stata definita “una priorità mondiale di salute pubblica”.
Le stime più recenti a livello internazionale indicano che nel mondo vi sono circa 35,6 milioni di persone affette da questi disturbi, con 7,7 milioni di nuovi casi ogni anno e un nuovo caso diagnosticato ogni 4 secondi. Il numero di persone con demenza, e principalmente Malattia di Alzheimer, dovrebbe triplicare nei prossimi 40 anni.
In Italia circa 1 milione di persone ne sono affette e circa 3 milioni sono direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari.Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, determinando decadimento fisico e cognitivo, perdita della memoria, della coscienza e della percezione del sé e della realtà.
Paolo Ruffini attraversa l’Italia per intervistare persone affette dalla malattia di Alzheimer e i loro familiari, definiti “seconde vittime” dell’Alzheimer, che si trovano ad affrontare un carico fisico ed emotivo enorme accompagnando i propri cari attraverso il doloroso cammino della malattia.
Dalla malattia di Alzheimer, ad oggi, non è possibile guarire, tuttavia è possibile curarla, nel senso di “prendersi cura” di chi si ama, e l’unica cura possibile è l’amore.
Il centro narrativo del documentario non è la malattia, ma le emozioni e i sentimenti che legano i pazienti ai propri cari. Attraverso le interviste si raccontano diverse storie d’amore, e soprattutto diverse dimensioni dell’amore: quello tra compagni di vita, tra genitori e figli, nonni e nipoti, tra fratelli e sorelle.In questo viaggio, tra storie e sentimenti, mentre la memoria della realtà viene progressivamente sgretolata dalla malattia, resta invece la memoria emotiva che rappresenta l’unico legame che i pazienti conservano con la vita che li circonda. PerdutaMente è prodotto da Paolo Ruffini e Nicola Nocella per Vera Film, e Antonino Moscatt e Angelisa Castronovo per Well See, in collaborazione con la Fondazione Polli Stoppanie con il contributo di Roberto Cavalli.
Arriva in uscita evento il 14, 15 e 16 febbraio, distribuito da Luce Cinecittà, e vedrà gli autori coinvolti in numerose presentazioni con il pubblico.
“La memoria – dice il regista – è un documento dell’identità personale, della propria storia, ma più di tutto della propria coscienza. Noi siamo la nostra memoria, e perderla significa perdere sé stessi. Significa abitare un corpo senza esistere.
Questa consapevolezza è stata solo una delle tappe del viaggio che ha disegnato questo film. Attraversando l’Italia ho avuto il privilegio di entrare nelle case di persone sconosciute e straordinarie, che hanno condiviso con noi le loro storie. Storie di vite fuori dal comune, storie segnate dall’Alzheimer, storie di dolore e disperazione, ma soprattutto storie d’amore.
La traccia seguita, nel corso di questa indagine, è stata la differenza tra cura e guarigione. Quello che ho imparato è che dal morbo di Alzheimer non è possibile guarire, ma è possibile curare, se non la malattia, la persona, proprio con l’amore.
La prima domanda, posta nel corso della prima intervista, è stata: “Che cosa significa prendersi cura di un malato di Alzheimer?”. La risposta che ho ascoltato, senza esitazione nella voce di Franco, è stata: ‘Amare‘”.
Attore, regista e autore poliedrico, la sua carriera spazia dal cinema, alla televisione, al teatro. Da sempre dedito al mondo del sociale, negli anni ha realizzato diversi progetti artistici che avevano in comune il tratto leggero e disincantato come filo rosso per sviluppare ed analizzare temi complessi come quello della patologia mentale, con i documentari Quore Matto, Seondo te, Cosa Vuoi?, Peter Panico, della felicità nel dolore con il documentario Resilienza, e della disabilità con il Progetto UP&Down, un happening comico con attori con sindrome di Down che ha riempito i più prestigiosi teatri d’Italia, da cui è poi nato l’omonimo documentario cinematografico UP&Down – Un film normale, che ha ottenuto il premio Kineo alla 75° Mostra del Cinema di Venezia e una menzione speciale ai Nastri d’Argento 2019, e che è anche diventato il libro ‘La Sindrome di UP’, edito da Mondadori.
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