Giovanna è una donna forte e autonoma. Gestisce con successo l’azienda di famiglia e cresce da sola sua figlia adolescente, Carlotta. La sua vita sembra scorrere tranquilla fino a quando una diagnosi inaspettata la mette di fronte a una malattia seria, che richiede un trapianto di midollo osseo. Per la prima volta, Giovanna ha bisogno di aiuto.
Nel tentativo di trovare un donatore compatibile, chiede supporto alla sua famiglia, ma la madre le rivela un segreto nascosto per anni: Giovanna è stata adottata. La notizia la sconvolge, gettandola in una crisi d’identità. Determinata a scoprire le sue origini, si scontra con la complessa burocrazia delle adozioni. Alla fine, il tribunale rintraccia sua madre biologica, Anna, che però rifiuta categoricamente di incontrarla e di offrirle aiuto.
Nonostante il rifiuto, Giovanna non si arrende. Decide di rintracciare Anna per conto suo e la raggiunge senza rivelare subito la propria identità. Anna, ormai anziana, è una donna schiva e diffidente, restia a lasciar entrare chiunque nella sua vita. Giovanna, però, non si lascia scoraggiare: con pazienza e delicatezza, riesce ad avvicinarla, instaurando lentamente un legame fatto di piccoli gesti e poche parole.
Man mano che il tempo passa, Anna si lascia andare, aprendosi a un’affezione che non provava da anni. Anche Giovanna, poco a poco, si dimentica del motivo iniziale della sua ricerca. Il suo bisogno di verità va oltre la questione della salute; vuole capire chi è davvero e cosa si cela dietro la storia della sua nascita.
In sala il 5 dicembre con 01Per il mio bene di Mimmo Verdesca, con Barbora Bobulova, Marie Christine Barrault, Stefania Sandrelli, Sara Ciocca, Grazia Schiavo, Fabio Grossi, Gualtiero Burzi, Leo Gullotta, Fabrizio Apolloni, Diego Carli, Marco Galli, Valentina Gristina, Lorenza Tomasi.
E’ una produzione Rodeo Drive con Rai Cinema.
“È il racconto della ricerca delle proprie origini – dice il regista – fatto di scoperte sconvolgenti, accettazioni sofferte e anche di perdono. Davanti alla necessità di sopravvivere a una grave malattia, per Giovanna diventa più forte il bisogno di fare i conti con il proprio passato e inseguire il desiderio di verità, che determina poi il tema principale del film: l’identità, come frutto del riconoscimento.
Da dove vengo? A chi appartengo? E quindi chi sono?
Attraverso la naturale convergenza di due realtà dell’essere madri e figlie (adottive e biologiche), ogni personaggio diventa lo specchio dell’altro e il ponte naturale tra passato, presente e futuro, tanto da chiederci fino a che punto si è madri e fino a quando si resta figli. Domande assolute, legate alla natura complessa dei rapporti umani, quelli che da sempre mi incuriosiscono, mi appassionano e mi toccano. Nel film non inseguo risposte, ma osservo il risultato emotivo di queste riflessioni.
L’intera narrazione, infatti, oltre che di luoghi e ambienti, che qui sono il riflesso di un temperamento, di una condizione e di uno stato d’animo, vive soprattutto di emozioni. Esse guidano i pensieri di tutti i personaggi, diventano il motore delle loro parole, delle loro azioni e rendono eloquenti i loro sguardi e i loro silenzi.
Ho curato uno stile visivo essenziale e rigoroso per non snaturare la verità di ogni singolo sentimento raccontato, per non disperderne la vitalità e la purezza, e permettere subito allo spettatore di riconoscersi e arrivare dritto al cuore di questa storia, che è al tempo stesso cruda e tenera, intima e universale, svelata in punta di piedi”.
Aggiunge in un video messaggio Marie Christine Barrault : “Il film parla di redenzione e bisogno d’amore. Di desiderio di incontrare l’altro attraverso una storia bellissima”.
Verdesca, noto e bravo documentarista, si mette qui alla prova con una storia di fiction, complessa e profonda. Così commenta: “Ho realizzato documentari in questi anni ma ho sempre pensato anche a una storia di finzione da poter realizzare al momento giusto. Questa ha continuato a seguirmi, mentre altre mi hanno abbandonato nel percorso. L’idea iniziale non mi ha mai lasciato. E’ nato un amore che poi è diventato il film che avete visto. E’ stato tutto naturale. Ho sempre scelto di dare spazio agli aspetti più emotivi. Ho incontrato quasi immediatamente i miei produttori, Marco Poccioni e Marco Valsania che con il gruppo di lavoro hanno accolto tutto questo, rispetto a quello che allora era solo un trattamento. E devo dire che l’ho scritta pensando proprio agli attori che poi l’hanno interpretata. Quando i collaboratori condividono il tuo obiettivo, si superano tutte le difficoltà. Sono stati tutti molto generosi e abbiamo lavorato in grande armonia”.
Una scena in particolare mette a confronto le due protagoniste con l’uso di uno specchio: “E’ un’immagine che ho sempre avuto davanti ai miei occhi anche in scrittura – racconta – sentivo che in quel momento due anime si incontravano e si sommavano. Forse è il primo momento in cui si riconoscono, confermato anche dai dialoghi. E’ il momento più alto del loro incontro”.
Per Bobulova non ci sono “preferenze di ruolo. Posso interpretare una donna forte o debole, i miei personaggi sono tutti come figli. Amo il mio lavoro alla follia, e come nella vita tutti abbiamo parti forti e deboli, la seconda non sempre esce fuori. Ci sono momenti particolari in cui tendiamo a nasconderla. Tutti siamo fatti di corazze e maschere, con cui vogliamo che gli altri ci vedano”.
Per quanto riguarda il rapporto con il sesso maschile, che forse dal film non esce benissimo, aggiunge “a volte gli uomini possono anche fare brutta figura. Abbiamo fin troppi supereroi che salvano il mondo. Non c’è niente di male”.
Leo Gullotta commenta “in sessantaquattro anni di carriera ho fatto molte cose, al teatro, al cinema, con linguaggi diversi, cercando di raccontare diverse anime, per il modo di vestire, di parlare, per la loro storia. Ho cercato di dar loro vita, evitando di ripetermi. Il personaggio di Luciano, unico maschile in un mondo di donne, pieno di emozioni, rappresenta il maschio piatto, chiuso, egoista, legato solo al denaro. Si venderebbe anche la madre. E non capisce, pur cercandola con grande curiosità, la motivazione delle protagoniste. Per lui sono solo camere affittate. Oggi purtroppo l’umano si è chiuso a riccio, vive di interrogativi ma non parla, non sente e non ascolta più. Questa storia ruberà lo spettatore portandolo al suo interno. La tematica fa venir fuori il fantasmino presente in ogni nostra anima”.
Si tratta naturalmente anche di un film sulla maternità e sulla sua sconvolgente forza.
Risponde Verdesca: “Assolutamente, insieme al tema conseguente dell’identità. Ci sono tre modi di essere madri, per varia esperienza, e anche di essere figlie. Giovanna è una madre solida, rigorosa, controllata, con tante sicurezze che saranno presto sgretolate. Il momento nella cava con la pietra naturale che si sfalda è premonitore. Lei ne è produttrice. Ma nel momento in cui scopre che non è figlia, torna ad essere figlia prima che madre. La Lidia di Sandrelli è invece accudente, con un certo senso dietro di inadeguatezza, forse tipico dei genitori adottivi. Tendono a tradurre l’amore in qualcosa di materiale. E anche lei diventa fragile, quando sente che sta perdendo questa figlia a cui ha svelato la verità. Diventa una donna in attesa, nella speranza che la figlia torni da lei e non l’abbandoni. E la madre biologica, completamente congelata, nel momento in cui ha perso il figlio, peggiore di qualsiasi violenza. Inevitabilmente una maternità indurita, ostile, lacerata. Eppure tutte troveranno il modo di rinascere, di ritrovare la propria maternità, unendosi in un un’unica figura materna”.
Sara Ciocca spiega che “la madre è il modello a cui il mio personaggio aspira. Subisce il suo fascino, il suo incanto, il suo successo e la sua intoccabilità. Non è semplice dopo questo genere di vita pensare di abbracciare la propria figlia. Ma Giovanna presto si accorgerà che la vita è questo, il coraggio di un sorriso, di resistere, di sperare, e l’umiltà di ringraziare e amare. Queste sono le cose che nella vita rimangono. La fortuna di essere amati dalla propria famiglia e la gratitudine di averla. La figlia deve curare il proprio ego, non quello della madre. Nel film ci sono molti aforismi più o meno velati, ma si tratta di seguire il cammino della propria vita”.
Dietro a questo mondo al femminile, sottolinea il regista “non ci sono strategie o la voglia di lanciare messaggi sotterranei di genere, o altro. E’ una storia vera, viene così come l’abbiamo voluta raccontare. Non penso che si possa stare troppo a ragionare su quello che si fa. Siamo artisti, seguiamo ragione, istinto e la voglia di emozionare il pubblico. La storia appartiene a tutti, anche un uomo si può riconoscere nella figura di Giovanna, soprattutto in un percorso di ricerca della madre biologica. In Italia vige una legge ostile, la famigerata ‘legge dei 100 anni’, su questo tema. Inoltre è una storia che ho iniziato a scrivere nel 2018, quindi non segue certo le mode. Le idee base erano già tutte lì. C’è una parte poetica, aperta, evocativa anche nel finale, diventa speranza. Ma anche la realtà è fatta di poesia, che a volte prende il sopravvento e ci emoziona”.
Conferma Marco Poccioni, produttore: “ci ha convinti la qualità della scrittura. Siamo andati avanti grazie anche alla collaborazione con Rai Cinema. Abbiamo affrontato il viaggio con molto entusiasmo e il risultato è stato un lavoro splendido”.
Le location, chiude Verdesca “sono importanti, e ferme nel tempo. Ad esempio l’ospedale sul lago, che sembra anni ’40, come in un film di Bergman. O la casa di Anna, sepolta di oggetti. E’ un modo di vivere e non vivere, tranne che per l’”appuntamento” con il figlio al lago. Anche i costumi sono rappresentativi. Barbora indossa un vestito con un nodo, che poi si scioglie, in corrispondenza dei legami familiari”.
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