Per Francisco Goya, controcampo con Ava Gardner e Natalie Portman

Le vicende del pittore e incisore spagnolo, scomparso il 16 aprile 1828, sul grande schermo con Javier Bardem, Michael Ironside, Stellan Skarsgård, protagonisti per Bigas Luna, Miloš Forman e Carlos Saura con la fotografia satura e pittorica di Vittorio Storaro


“La fantasia, abbandonata dalla ragione, produce mostri; unita ad essa, è madre delle arti e origine delle meraviglie” secondo Francisco Goya, pittore e incisore spagnolo, scomparso il 16 aprile 1828.

Una biografia, la sua, segnata dalla sordità, dall’isolamento, dall’orrore della guerra e dalla disillusione politica, sfumature fondamentali per renderlo soggetto ideale per il cinema: Goya è insieme testimone e vittima della Storia, artista di corte e anarchico dello sguardo, capace di attraversare la luce dell’Illuminismo e le tenebre dell’inconscio. Raccontarlo significa confrontarsi con l’ambiguità del potere, con la funzione etica dell’Arte e con la modernità dell’immaginario che ancora oggi ci interroga.

È considerato un ponte tra l’Arte classica e quella moderna. Pittore di corte dei Borbone, ritrattista di talento e acuto osservatore della società del suo tempo, Goya fu anche autore di opere visionarie e disturbanti, come i Caprichos e le Pinturas negras, che rivelano un lato oscuro e profondamente critico dell’essere umano.

È Carlos Saura a esplorare gli ultimi anni di vita di Goya durante il suo esilio a Bordeaux, esperienza riflessa sulla carriera e sulle opere: GOYA IN BORDEAUX (1999) è un’elegia visiva in cui il regista offre un affresco intimo e poetico. Lontano dalla convenzione del biopic lineare, il film si muove per evocazioni, in un’alternanza di presente e memoria, che affida alla fotografia satura e pittorica di Vittorio Storaro il compito di restituire l’interiorità del maestro spagnolo. Goya è così soggetto di un cinema che si fa pittura, dove il tempo si sfalda come nelle sue suddette Pinturas negras. Saura mette in scena un’opera sofisticata, meditativa, che riflette sul potere dell’arte dinanzi all’oscurità della Storia. Saura affida a due interpreti il compito di incarnare il pittore: Francisco Rabal, intenso e crepuscolare nei panni del Goya anziano in esilio, e José Coronado come Goya giovane, ancora legato alla corte e alla fama. Rabal si restituisce ricco di sfumature interiori: la voce roca, la gestualità scarna, gli occhi che scrutano il passato con una malinconia tagliente, costruiscono un Goya stanco, ma ancora vigile, in dialogo costante con i fantasmi della sua memoria. Coronado, al contrario, rappresenta l’ambizione e il disincanto che crescono progressivamente, suggerendo una continuità emotiva e morale tra i due volti dell’artista. L’interpretazione è fortemente supportata dalla messa in scena simbolica di Saura, che trasforma la soggettività di Goya in spazio scenico, quasi teatrale, un labirinto mentale dove l’attore si muove con gravità e Rabal, con il suo volto scavato, diventa incarnazione dell’arte come testimonianza di sopravvivenza e consapevolezza.

Con THE NACKED MAJA (1958), Henry Koster narra la relazione tra Goya e la Duchessa d’Alba, rispettivamente Anthony Franciosa e Ava Gardner. Classico esempio di biopic hollywoodiano di metà secolo scorso, il film intreccia la figura del pittore con quella della nobile per un racconto romanzato che preferisce l’allusione erotica e la politica di corte al dramma dell’artista. Ava Gardner è magnetica e sensuale, mentre Franciosa offre un Goya affascinato e ambiguo. Sebbene la regia non osi mai davvero nella forma, il film resta interessante per la costruzione mitica dell’artista come testimone e agente della modernità, pur sacrificando la complessità storica sull’altare dello spettacolo. Nei panni di Goya, Franciosa si propone fascinoso, irrequieto, fortemente sessualizzato, coerente con il tono melodrammatico del racconto; l’interpretazione tende a ridurre la complessità dell’artista a un archetipo romantico: il genio maledetto innamorato della sua musa. Il Goya di Franciosa è passionale e impulsivo, ma raramente introspettivo; più attivo che riflessivo, si muove in funzione della relazione con la duchessa, diventando quasi un contorno alla sua figura. Il film non ambisce a indagare la crisi morale o politica dell’artista, ma piuttosto a offrire un ritratto mitizzato, virile e seduttivo: l’’interpretazione di Franciosa si inserisce perfettamente in questo quadro.

GOYA’S GHOSTS (2006) diretto da Miloš Forman sebbene non sia una biografia diretta presenta il pittore come personaggio centrale in una storia ambientata durante l’Inquisizione spagnola. L’autore ceco utilizza Goya come spettatore privilegiato – quasi un alter ego dello spettatore moderno – della violenza ideologica, fino al periodo napoleonico. Javier Bardem (Lorenzo Casamares) e Natalie Portman (Inés Bilbatua/Alicia) guidano una narrazione cupa, moralmente ambigua, dove l’Arte non salva né redime, ma documenta. Forman si muove in un terreno ibrido tra Storia, allegoria e melodramma, lasciando a Goya un ruolo laterale ma centrale sul piano simbolico: l’artista come coscienza disillusa dell’Europa. Un film imperfetto ma ricco di spunti, visivamente ambizioso e intellettualmente provocatorio, con Stella Skarsgård che dà vita a un Goya marginale ma cruciale. La sua è un’interpretazione silenziosa, rarefatta, giocata più sugli sguardi che sulle parole: restituisce un Goya testimone invisibile, colui che guarda senza intervenire, come l’obiettivo di funzionare da macchina fotografica morale. Skarsgård interpreta con una distanza calcolata, evita ogni enfasi: è un Goya “registratore”, che accumula orrori senza gridarli, ma li sublima nei suoi quadri. Questa scelta attoriale, che potrebbe sembrare opaca, è invece coerente con la poetica di Forman: Goya diventa coscienza passiva ma vigile, testimone del crollo dell’illuminismo, e l’attore svedese riesce a rendere questa ambiguità con una sottile inquietudine che attraversa tutta l’interpretazione.

Bigas Luna per VOLAVéRUNT (1999) si basa sul romanzo di Antonio Larreta, ruotando attorno alla misteriosa morte della Duchessa d’Alba e al ruolo di Goya in essa. Luna trasforma il mistero della morte in un gioco barocco di potere, eros e manipolazione. Lungi dall’essere protagonista, Goya diventa spettatore silenzioso e ambiguo, quasi un voyeur della decadenza aristocratica e dei segreti di corte. Il regista catalano mescola sensualità e decadenza in un film che ricorda le atmosfere di Visconti e Buñuel, ma con una sua cifra provocatoria. Volavérunt non è un film su Goya, ma un film “alla Goya”: opulento e insieme grottesco, saturo di tensione tra il bello e l’abietto. È Jorge Perugorría a interpretare Goya, con una nota voyeuristica e spettatoriale che ben si adatta all’impianto barocco del film: è inquieto, erotico, talvolta ombroso, ma sempre un passo indietro rispetto all’azione. L’attore lo costruisce come un uomo che scruta e interiorizza, più che agire: la sua arte è una risposta ai drammi osservati, non il motore delle vicende. Il Goya di Perugorría è cupo, e in certi momenti quasi complice delle ambiguità che denuncia. Bigas Luna lo rappresenta più come interprete del desiderio collettivo che come artista impegnato: un uomo immerso nella decadenza, il cui sguardo è intriso di una sensualità dolente, che l’attore restituisce offrendo un Goya morbosamente partecipe.

È poi nell’età più anziana, un Goya 73enne, che il pittore abbandona la corte e sviluppa un’amicizia con Rosarita, talentuosa del disegno e figlia più piccola della sua governante: sul piccolo schermo questa è la storia di GOYA: AWAKENED IN A DREAM (1999) di Richard Mozer. Questo film televisivo, pur con mezzi modesti, si distingue per un approccio intimista e delicato. Goya, ormai vecchio e disilluso, trova una rinnovata vitalità: il tono è favolistico, quasi pedagogico, e rischia a tratti l’agiografia, eppure emerge una riflessione sincera sul rapporto tra memoria e creazione, tra disillusione e speranza. Il Goya di questa narrazione è un mentore, un maestro d’umanità. Michael Ironside sorprende per la delicatezza con cui interpreta questo anziano Goya, vulnerabile ma non domo. Lontano dai ruoli intensi e minacciosi che lo hanno reso celebre, Ironside costruisce un personaggio dolce e inquieto, dominato da un senso di perdita, ma anche capace di tenerezza. Il rapporto con la bambina che disegna diventa occasione per riflettere sul potere trasformativo dell’Arte e sul passaggio intergenerazionale del talento e della visione. Ironside gioca con registri emotivi minimi, ma intensi, dando spessore a un personaggio fragile, ossessionato dai ricordi e perseguitato dalle sue stesse immagini. Il film, pur semplice nella sua struttura, permette all’attore di delineare un Goya crepuscolare e umano, con un tono che ricorda per certi versi Le notti di Cabiria: l’artista come sopravvissuto alla ricerca di senso. Nel complesso, questo film tv è un’opera minore ma non priva di grazia.

Infine, è un film tedesco del 1971, diretto da Konrad Wolf, basato sul romanzo di Lion Feuchtwanger, a raccontare la vita di Goya nel contesto dei tumulti politici e sociali della sua epoca: GOYA OR THE HARD WAY TO ENLIGHTENMENT. Tra le trasposizioni più rigorose e politicamente consapevoli della figura di Goya, il film riflette l’approccio intellettuale del cinema della Germania Est. Questo racconto filmico ricostruisce con accuratezza il contesto, indagando la progressiva presa di coscienza dell’artista davanti alle ingiustizie del potere. Il Goya di Wolf è un uomo in lotta tra estetica e etica, tra la seduzione della corte e la necessità di dire il vero. Lontano da ogni spettacolarità, il film è un esempio notevole di cinema storico-politico, lucido e stratificato. È Donatas Banionis, celebre per il suo ruolo in Solaris di Tarkovskij, a prestare a Goya una gravità quasi messianica: il suo volto impassibile, la dizione austera, la postura rigida, fanno di lui un Goya inizialmente distaccato, quasi borghese, che viene gradualmente travolto dall’orrore e dall’indignazione. Banionis lavora sul progressivo disfacimento morale del personaggio: da pittore di corte a testimone della guerra, da intellettuale a coscienza critica. La sua interpretazione riflette il rigore ideologico del film e ne incarna la tensione dialettica: Arte come strumento di presa di coscienza. Senza mai cedere all’emotività, Banionis riesce a comunicare un’inquietudine etica profonda, portando lo spettatore dentro il conflitto tra bellezza e verità. Il suo è un Goya è quasi brechtiano: non cerca empatia ma consapevolezza.

Il cinema ha trattato la figura di Francisco Goya come uno specchio sfaccettato del rapporto tra Arte, potere e coscienza, alternando interpretazioni intimiste a rappresentazioni simboliche, storicizzate o romanzate. Raramente confinato al semplice biopic, Goya emerge come personaggio enigmatico e mobile, ora protagonista attivo della sua epoca, ora spettatore silenzioso e inquieto dei suoi orrori. Da Goya in Bordeaux di Saura, che lo esplora come mente crepuscolare e visionaria, fino al Goya distaccato del film tedesco di Wolf, il pittore viene evocato più come “luogo” di riflessione che come soggetto compiuto. Gli attori che lo hanno incarnato – da Francisco Rabal a Donatas Banionis, da Franciosa a Skarsgård – hanno restituito, ciascuno a modo suo, il dissidio tra l’artista pubblico e l’uomo perseguitato dalle immagini che crea. In alcune versioni (come The Naked Maja o Volavérunt), Goya diventa anche figura laterale, strumento per raccontare il desiderio e il potere attraverso il suo sguardo, mentre in Goya’s Ghosts la sua marginalità narrativa ne rafforza il ruolo di testimone morale. Il cinema ha così interpretato il pittore spagnolo come qualcosa di più di un artista: un punto d’intersezione tra Storia, memoria, erotismo e resistenza, oscillando tra la seduzione del genio e la condanna della sua lucidità.

Ecco alcune delle opere pittoriche di Goya che tracciano un arco che va dal Classicismo leggero al Proto-Espressionismo, riflettendo il passaggio dal Settecento illuminista all’ombra inquieta del Romanticismo: Il parasole (1777), Il conte di Floridablanca (1783), La famiglia di Carlo IV (1800–1801), La Maja desnuda (1797–1800), Il 3 maggio (1808 – 18149), Saturno che divora i suoi figli (1819–1823) – una delle Pinturas negras come anche Il cane (1819–1823), e La lattaia di Bordeaux (1827).

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13 Aprile 2025

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